Binetti sul referendum, un voto per la democrazia

Le ragioni del No al referendum costituzionale del 20 e 21 settembre da parte della senatrice Paola Binetti, tra le firmatarie della richiesta del voto confermativo dei cittadini sulla riduzione del numero dei parlamentari votata a grande maggioranza dalle due Camere. Dialogo aperto sul focus Referendum costituzionale 2020
Refendum, Binetti per il No. Foto Archivio Udc

Paola Binetti, senatrice dell’Udc, già presidente del Comitato Scienza e Vita, fa parte dei parlamentari di Palazzo Madama che hanno richiesto l’indizione di un referendum confermativo della legge di revisione costituzionale avente ad oggetto la riduzione del numero dei parlamentari, che nell’ultima votazione della Camera, l’8 ottobre 2019, ha avuto una maggioranza pressoché totale, da maggioranza e opposizione, con l’eccezione di qualche esponente del gruppo misto.

Adesso, a pochi giorni dal 20 e 21 settembre, data del voto, sono molti di più i parlamentari che hanno detto di nutrire dubbi su quel testo che fa parte dei punti determinanti del governo Conte 2 in base all’accordo siglato da M5S, Pd e Leu. Anche Italia Viva, la scissione dal Pd voluta da Matteo Renzi, rientra nella stessa maggioranza tenuta assieme da un programma condiviso che prevede legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari e la bozza di una legge elettorale improntata sul modello proporzionale tedesco. Orientamento, quest’ultimo, rimesso in discussione da Renzi.

Senatrice Binetti, avete proposto un referendum che pareva perso in partenza. Perché?
L’ho dovuto fare perché è una pessima legge. Mi sono opposta a costo di essere additata come esponente della casta e dei privilegi. Non si possono fare delle riforme importanti basandosi sulla forza dei numeri. Anche la riforma costituzionale voluta da Renzi nel 2016 sembrava volare con il vento in poppa, sull’onda del successo del suo Pd all’elezioni europee. Ma tale progetto è stato poi bocciato dal referendum del 2016. Gli italiani, quando sono chiamati a ragionare, diffidano di riforme pasticciate dell’assetto costituzionale. In questo caso la riforma si accompagna alla previsione di una legge elettorale e altri correttivi tutti da definire. Insomma un voto alla cieca, basata su promesse incerte. Con la nostra iniziativa abbiamo voluto offrire una opportunità di riflettere bene a certe scelte che poi producono effetti negativi. Si pensi alla riforma del titolo V che ha comportato, come abbiamo visto nel pieno della crisi da Covid 19, una confusione di competenze tra le Regioni e il sistema sanitario nazionale.

Cosa, in particolare, non la convince di questa legge?
Credo che non si possa procedere solo sulla riduzione del numero dei parlamentari senza aver prima stabilito il sistema elettorale che li porterà a sceglierli. Praticamente si chiede una delega in bianco. Avremo dei nominati dalle segreterie di partito, oppure ci saranno le preferenze o altri criteri di selezione? Non esiste la base ragionevole per esprimere un consenso informato da parte dell’elettore che al referendum è chiamato solo a dire Sì o No sul taglio del numero di deputati e senatori senza avere un quadro definito di come agirà questa riforma che presenta aspetti problematici nascosi dietro la retorica dei costi da ridurre.

E cioè, quale aspetto la preoccupa ulteriormente?
Vedo che esiste già la tendenza a fare a meno del lavoro dei parlamentari comunque eletti democraticamente per far posto a comitati di esperti e tecnici nominati dal governo di turno. Ridurre il numero degli eletti senza definire le competenze nel funzionamento di un parlamento rafforza il criterio introdotto dal sistema dello spoil system di nominare tecnici ed esperti di fiducia, facilmente rimuovibili in caso di dissenso. Tra l’altro senza alcun risparmio finanziario per le casse pubbliche.

Paradossalmente in questo referendum si ritrova a fianco dei radicali, suoi storici avversari…
Già è proprio così. Ci siamo viste con Emma Bonino per organizzare un’iniziativa di conferenza maratona per la democrazia, dicendoci che per la prima volta ci troviamo dalla stessa parte.

A proposito di partiti e selezione degli eletti, proprio una certa egemonia della cultura radicale dentro il centrosinistra l’ha portata, a suo tempo, a lasciare il Pd per approdare nel centro destra. Perché?
Ho vissuto un grande conflitto di coscienza in un periodo in cui il Pd portava avanti, a mio giudizio, una pessima legge sulle unioni civili e una altrettanto pessima legge sul testamento biologico, mentre nelle elezione regionali nel Lazio eravamo esposti all’alternativa secca tra due candidate alla presidenza: la radicale Bonino e la Polverini che proveniva dalla destra. Il problema è stato lo scioglimento della Margherita che rappresentava una garanzia di libertà delle opinioni nella pluralità

Ma conflitti di coscienza non li trova anche trovandosi in questo centro destra?
Io mantengo la mia identità e libertà. Ho conquistato il mio seggio in un collegio nominale con una campagna porta a porta, facendomi conoscere dalla gente che ha votato la persona. Ogni giorno sul mio sito comunico la posizione su diversi temi con autonomia. Ci tengo alla mia identità come Udc. Sul sito del Senato è esplicitato il gruppo come Forza Italia – Udc. Non possiamo fare un gruppo a parte per questione di numeri ma manteniamo una nostra identità.

Siete sempre dentro Forza Italia. Riesce a votare anche in dissenso dalla coalizione?
Per me vale sempre il primato della coscienza come valore determinante.

In questo senso come vede l’ipotesi di un partito di centro avanzata, tra gli altri, da Stefano Zamagni?
Lo seguo con attenzione. Bisogna capire come e se prenderà forma. Con quali compagni di strada. Credo che ci sia bisogno nel Paese di un grande partito di centro. Gran parte dell’astensionismo si deve a questo elettorato che non si sente rappresentato. Un’area vasta dove non si è costretti ad essere, per semplificare, “fascisti” o “comunisti” ma al proprio interno, come è stato per la Dc, esprimere, alla luce del sole, diverse sensibilità e orientamenti. Una lezione di grande libertà. Mentre oggi molti dei miei colleghi dei 5stelle come del Pd mi dicono che voteranno No al referendum senza poterlo dire apertamente per disciplina di partito.

NOTA BENE:

questa intervista rientra del dialogo aperto promosso da Città Nuova per discutere in maniera aperta e ragionata sulle ragioni del No e del Sì in merito al referendum costituzionale in programma per il 20 e 21 settembre in Italia. Si veda, ad esempio, la posizione del SI in questa altra intervista.

Tutti gli interventi sul Focus Referendum costituzionale 2020

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