Il pensiero della complessità. La politica, il punctum dolens

Un dialogo con i massimi esperti di pensiero della complessità  in Italia, da  declinare in politica. Il prof. Mauro Ceruti è uno dei pionieri nell’elaborazione del pensiero della complessità

Iniziamo con questa intervista un dialogo con i massimi esperti di pensiero della complessità  in Italia, da  declinare in politica. Il prof. Mauro Ceruti è uno dei pionieri nell’elaborazione del pensiero della complessità, riconosciuto come tale e come amico fraterno dal noto Edgar Morin. I suoi scritti, tradotti in tutte le più diffuse lingue del mondo, hanno segnato il dibattito filosofico degli ultimi trent’anni.  Tra i suoi libri Il vincolo e la possibilità del 2009, La nostra Europa ( con Edgar Morin) del 2013, Il tempo della complessità del 2018.

Prof. Mauro Ceruti, lei è riconosciuto come massimo teorico della complessità in Italia, “spirito fratello” e “uno dei rari pensatori del nostro tempo ad avere compreso e raccolto la sfida che ci pone la complessità dei nostri esseri”, come affermato da Edgar Morin. Può spiegare ai lettori di Città Nuova attraverso quali percorsi è arrivato, già nel 1984, ad organizzare il primo importante convegno internazionale a Milano su “La sfida della complessità”?

Alla fine degli anni settanta, nello scrivere la mia tesi di laurea in filosofia della scienza, mi appassionai all’approccio epistemologico sistemico e costruttivista, quasi completamente trascurato in ambito accademico, soprattutto nelle facoltà di filosofia. Ma vedevo che questo approccio era estremamente fecondo in tutte le ricerche scientifiche di frontiera, e in tutte le discipline. Anche le ricerche in queste discipline erano però separate, poco dialoganti.

È allora che fu per me folgorante incontrare le pionieristiche opere di Jean Piaget e di Edgar Morin. Il primo, in Italia era conosciuto solo come psicologo dello sviluppo dell’intelligenza nel bambino. Scoprire le sue opere di epistemologia fu una folgorazione. In particolare, il monumentale volume Logique et connaissance scientifique, vera Enciclopedia dell’epistemologia della nascente epistemologia della complessità, in una prospettiva transdisciplinare. E poi, l’incontro con i primi libri di filosofia della complessità di Edgar Morin, in particolare Il paradigma perduto (finalmente oggi ristampato da Mimesis) fu la molla che mi spinse, con Gianluca Bocchi, a organizzare, io giovanissimo neolaureato, i primi incontri internazionali a Milano sotto la sigla “La sfida della complessità”, per fare dialogare in un contesto comune pensatori “complessi” di vari campi disciplinari.

L’adesione fu entusiasmante. Fu la nostra risposta al dibattito sulla crisi della modernità. E la nostra alternativa al postmodernismo. E fu l’inizio anche dello sviluppo di una prospettiva antropologica inedita, transdisciplinare, complessa, che oggi è la prospettiva che mi aiuta nella lettura della emergente condizione umana globale. Fino al mio dialogo con le encicliche di papa Francesco, in particolare con i miei libri Sulla stessa barca e Il secolo della fraternità.

È nata così una comunità di studiosi da lei animata in Italia. È sorto un “pensiero dell’interconnessione danzante e creativa sempre in atto fra tutte le “cose umane e non umane, piccole e grandi” (cf. La Danza della complessità, a cura di F. Bellusci e L. Damiano, Mimesis 2023). A che punto si trova oggi lo sviluppo del pensiero complesso nel nostro Paese? Quali applicazioni sono già avvenute nel campo della politica?

La “sfida della complessità” lanciata quarant’anni fa, con il suo appello all’interdisciplinarità e alla trasndisciplinarità, è stata subito raccolta al di là della cerchia ristretta della filosofia e dell’epistemologia e dei dipartimenti universitari. Il “pensiero complesso” si è disseminato rapidamente, suscitando interesse e trovando applicazioni innovative in vari luoghi di produzione del sapere, della ricerca, delle professionalità: scienza delle organizzazioni e formazione manageriale, scuole di psicoterapia, teoria e critica letteraria ed estetica, indirizzi di pedagogia… E mostra soprattutto oggi una vitalità sorprendente.

Segnalo anche la recentissima costituzione del CRiSiCo. (Centro di Ricerca sui Sistemi Complessi) presso l’Università IULM di Milano, da me diretto. La politica è il punctum dolens, perché è il campo che avrebbe maggiormente bisogno di pensiero complesso. Essa, invece, sta producendo idee sempre più semplificatrici per società sempre più complesse, inclina a chiusure, manicheismi, di fronte a un mondo sempre più interconnesso, incerto e ambivalente. Proprio quando, a cavallo dei due secoli XX e XXI, il mondo diventava più globalizzato, interdipendente, “policrisico”, e cioè manifestamente complesso, la politica delle società contemporanee è caduta in preda a “una ribellione contro la complessità”. Una nuova filosofia politica ispirata al paradigma della complessità, ovunque sia recepita, può giocare un grande ruolo nel correggere questo cortocircuito. Il CRiSiCo nasce anche con quest’ambizione.

Quali sono stati i sentieri della filosofia della complessità in Italia? Si sono mai incontrati con quelli dell’Ontologia trinitaria di Piero Coda, Massimo Dona’ ed altri, presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano-Firenze? Trova analogie tra questi percorsi rispetto al pensiero della complessità?

La filosofia della complessità, in Italia, trova il suo germe nel dibattito fiorito alla fine degli anni Settanta sulla “crisi della ragione”, avviatosi su impulso di Giorgio Gargani, il quale, qualche anno prima, aveva già incanalato la riflessione epistemologica su un sentiero “costruttivista”. Cominciò, allora, il mio dialogo con altri scienziati ed epistemologi di questo indirizzo: von Foerster, Morin, Varela, Prigogine, Gould… Ma, sempre in ambito italiano, altre “somiglianze di famiglia” si possono riscontrare tra la filosofia della complessità e il problematicismo, per la sua ricerca di una terza via tra dogmatismo metafisico e scetticismo o nichilismo, e le correnti fenomenologiche, per la loro critica al riduzionismo e allo scientismo e per la loro riabilitazione del ruolo del soggetto/osservatore nella conoscenza e nel “mondo della vita”.

A differenza del relativismo postmodernista e “debolista”, la filosofia della complessità italiana ha cercato un’altra risposta a quella “crisi”, attingendo dall’esercizio “critico” della ragione la possibilità di oltrepassare i limiti della stessa ragione analitica o dialettica, per riformare il pensiero e affrontare così la “sfida della complessità”. Trovo molto interessante come l’urgenza di “ripensare il pensiero” sia accolta e rilanciata anche dal Manifesto dell’Ontologia trinitaria. Sia la filosofia della complessità sia l’ontologia trinitaria rinviano a una ontologia della relazione e convergono su un principio: il principio dell’“unità molteplice”, che è ricco di implicazioni etiche, politiche e antropologiche, capaci di inaugurare quella che, nel mio ultimo libro, chiamo una “umanizzazione della modernità”, cioè piena e operativa coscienza del tempo della complessità, in cui tutto è connesso.

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