Qualcosa di nuovo sotto il sole

Il pessimismo del Quelet. Il cuore del messaggio di Gesù: la reciprocità. Come spazzare via il velo di grigiore nella convivenza

«Non c’è niente di nuovo sotto il sole» (Qo 1,9). Questa espressione del libro di Qoelet è molto nota anche a chi non sa che proviene dall’Antico Testamento. L’affermazione, più volte ribadita, sembra trasmettere un messaggio di rassegnazione, di pessimismo. E cioè che l’aspirazione dell’uomo verso qualcosa di veramente nuovo, qualcosa che sia capace di sorprenderlo e che quindi lo porti a stupirsi della vita e di sé stesso, sia destinata a rimanere insoddisfatta.

Quello di Qoelet non è un pessimismo che gli impedisce di riconoscere e di sperimentare le attrattive che la vita gli offre, né di acquisire saggezza. Egli dice di non aver negato ai suoi occhi «nulla di ciò che bramavano», di aver capito che il vantaggio della sapienza rispetto alla stoltezza è come quello «della luce sulle tenebre».

Qoelet ha «accumulato oro e argento», ha cercato di «soddisfare il suo corpo con il vino», «ha intrapreso grandi opere». Eppure non può fare a meno di ripetere come un ritornello che tutto «è vanità e un inseguire il vento», che «ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà».

Qoelet in qualche modo fa tabula rasa di tutto. Sembra che non ci sia spazio per nessuna grande speranza. Questa tabula rasa, però, sgombra il campo e prepara all’avvento di una speranza diversa, di altra provenienza: a una speranza donata. Predispone alla vera novità che arriva dall’alto quando Dio manifesta qualcosa di sé stesso, della propria intimità.

È ciò che è avvenuto con Gesù quando ci ha svelato il cuore del messaggio che era venuto a portarci: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34).

In cosa consiste la novità di questo comandamento? Il precetto dell’amore del prossimo non era conosciuto fin dai tempi antichi (Lv 19,18)? Non aveva egli affermato che tutta la Legge si riassume nell’amore per Dio e nell’amore per il prossimo?

Sì, però Gesù con il “suo” comandamento invita a fare un passo nuovo, molto importante. Dice che nell’amare il prossimo bisogna puntare a creare lo spazio per la reciprocità, per un amore che va e che viene.

Sembra paradossale dato che l’amore dell’altra persona non può essere preteso, ma è proprio quando scocca la scintilla della reciprocità che qualcosa di veramente nuovo accade.

Ci sono famiglie, comunità, gruppi dove le singole persone, al di là degli eventuali momenti conflittuali, cercano ognuna di amare il prossimo, ma nonostante ciò rimane un velo di grigiore nella convivenza, un inspiegabile senso di insoddisfazione.

Si resta in un clima di buona educazione fino a che non spunta in qualcuno un amore audace, un amore capace di sorprendere l’altro e di fargli percepire tutta la sua importanza: viene così gettato il seme della reciprocità, apportatrice di quella novità che nasce solo nell’incontro profondo con l’altro, col diverso.

Il comandamento dell’amore reciproco, quindi, è nuovo non solo nella sua formulazione ma anche nel senso che, ogni volta che viene attuato, dischiude una dimensione di novità. E il motivo è che esso, in qualche modo, ci pone in contatto con l’amore originario, quello di lassù, che è permanentemente amore perché continuamente si rinnova nel dono reciproco.

È così che qualcosa di nuovo può realmente accadere sotto il sole.

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