Allen e Clooney, sfida sugli anni ’50

Sono stati favolosi o repressivi gli anni ’50 del secolo scorso? L'America che cinguettava tra radio, jazz e star del cinema era davvero un paradiso? Due registi di calibro ci riflettono e ne parlano con due film certo non uguali, ma che tolgono molto dell'incantesimo mediatico che circonda come spesso succede (vedi da noi gli anni ’70) il passato

«Viviamo in questo paese di fate da quattro soldi», sbotta amara Ginny, ex attrice instabile con un matrimonio fallito alle spalle, madre di un ragazzino incendiario, sposata al rozzo Humpty manovratore di giostre nel frenetico mondo dei divertimenti sulla spiaggia e innamorata del prestante bagnino Mickey sulla spiaggia di Coney Island, che sogna di diventare scrittore tragico. È l’America dei sogni e delle frustrazioni che Woody Allen ci presenta nell’ultimo lavoro La Ruota delle meraviglie – esce il 14 –, un titolo di amara ironia dove la pièce di timbro teatrale fra sarcasmo e dramma si consuma nel sole e nella pioggia in una serie di quadri concatenati abilmente, in dialoghi serrati, densi di riflessioni e di ricordi di un passato che pesa e non ritorna. La giovane Carolina, figlia del marito è in fuga dal mafioso che ha sposato e che ha denunciato alla polizia: è male accolta da Genny, che vive una passione estiva col bagnino, di cui però la ragazza si innamora: le conseguenze saranno amare.

I temi dell’ansia ci sono tutti e Allen si confessa attraverso i personaggi («Con gli anni diventiamo disposti al perdono perché noi abbiamo fatto tanti errori»), stanchi di vivere in qualche caso, tentati di annegare nell’alcol i problemi, in cerca del vero e puro amore. Un’umanità fragile e anche perduta, a volte cattiva, che cerca di rimanere in qualche modo unita per sopravvivere è quella che il regista racconta, fra battute mai esilaranti – non c’è questa volta voglia di vis comica –, un intreccio da thriller, e la costante tensione che tormenta anche i momenti delicati (la scena nella pizzeria tra Carolina e il bagnino) come pure il rapporto tra la madre e il ragazzino incendiario: un personaggio che scorre lungo il film come metafora del disagio di tutti. Con ironia beffarda Allen racconta e si racconta: la vita è un ruota che poteva essere meravigliosa e non lo è stata? Il bagnino, nonostante tutto, è leale e sogna. Speriamo che non si desti e rimanga deluso, per poterci poi raccontare la storia.

Un cast perfetto disegna il film − Kate Winslet brilla su tutti – in cui gran parte la esprime la fotografia di Vittorio Storaro: la sua luce condensa emozioni e colori anni ’50 con la magia della verità. E siamo in un autentico film autobiografico sotto cui Allen finge di nascondersi (e di nascondere tanti rimpianti) con la consueta brillantezza. Ma dicendo parole che tutti in certi momenti duri vorrebbero dire, forse con un minimo di positività, come il bagnino sognatore (Justin Timberlake), e senza farsi divorare dal nero che è in noi.

Suburbicon

Nel gioioso sobborgo californiano di Suburbicon si vive benissimo. Casette linde con giardino, gentilezza sociale, famiglie perfette come quella di Matt Damon. Ma quando una coppia di colore si installa, il razzismo strisciante viene a galla, con violenza sempre più accesa. Il teatrino del perbenismo crolla: la moglie di Matt improvvisamente muore, il figlio rimane scioccato, l’uomo porta a vivere con sé la cognata (Julianne Moore). Sono loro due che hanno ucciso la moglie per poter stare insieme? Il dubbio c’è, la polizia indaga. Il film prende una doppia strada: da un lato coglie la presenza feroce del razzismo, dall’altra quella della violenza familiare: Matt non è il buon padre che sembra, terrorizza il figlio. Tutta la vicenda, nel crescendo emotivo e drammatico, si riflette sulla faccia del ragazzino, sui suoi occhi smarriti, spauriti e costretti alla complicità col padre. L’età dell’innocenza si perde gradualmente. Il film lo racconta, in parallelo con la perdita dell’innocenza sociale, della fluidità dei rapporti per mostrare dietro il perbenismo la violenza nel cuore della gente. Ma è l’America di ieri o è pure l’America di oggi?. In questa commedia nera, sceneggiata dai fratelli Coen, Clooney accentua l’atmosfera cupa generale, l’ipocrisia sociale, l’età indifesa dei giovani e ci spalanca un ritratto sulle oscurità del cuore umano.

Matt Damon, invecchiato, recita benissimo, specie con il corpo, come la terrea Julianne Moore. Sono loro due, la coppia decisa, il motore dell’azione o è invece il sentimento della paura del diverso – di colore di sensibilità di età – il vero protagonista della black comedy sul mondo di ieri e di oggi? I ragazzini ci stanno a guardare.

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