Adieu Charles, re degli chansonniers…

A 94 anni è scomparso il grande Aznavour, l’ultimo dei grandi cantautori francesi. Di origine armena, ma francese d’adozione, era nell’olimpo dei grandi della canzone europea del Novecento.

Un cuore che aveva dentro la tragedia del popolo armeno, ma anche tutte le nuances del “cantar l’amore” alla francese. Un successo straordinario per dimensioni e durata, ma raggiunto attraverso una litania di dolori e di fatica.

Il suo vero nome era Chahnourh Varinag Aznavourian, era nato a Parigi nel 1924 da due genitori in fuga dal genocidio perpetrato in Armenia dall’impero Ottomano appena qualche anno prima. Una famiglia di profughi e anche d’artisti, giacché il padre era cantante e la madre attrice. La passione per il canto il piccolo Charles li ereditò da loro, ma una grave paralisi alle corde vocali minacciò d’impedire al suo talento di sbocciare. Non si perse d’animo, anzi il problema fisico gli lasciò in dote un timbro vocale, dolce e roco insieme, che avrebbe fatto la sua fortuna.

Le origini armene non l’aiutarono di certo, né in Francia né negli Stati Uniti, dove arrivò alla fine della Seconda Guerra Mondiale, per un tour con la grande Edith Piaf. Ma Charles tenne duro e superò anche gli ostruzionismi, forte di uno stile inimitabile, un modo di cantare le infinite sfumature dell’amore con sincerità e senza melasse sentimentaliste.

Quando la grande Edith Piaf lo aveva notato, divenendo di fatto la sua mentore, il giovane Aznavour aveva già una bella gavetta alle spalle, accumulata in teatro fin da bambino; e aveva già cominciato a scrivere canzoni: d’amore per lo più, raccontato con sincerità e stando ben alla larga dai luoghi comuni così tipici di quest’ambito. Finalmente, nella seconda metà degli anni Cinquanta lo show-business s’accorse di lui: un contratto discografico, il debutto al cinema (al servizio di grandi come Cocteau e Truffaut) e il plauso della critica, che ben presto prese a considerarlo una sorta di Sinatra europeo.

Tanti dischi – più di 300 milioni di copie vendute -, carrettate di canzoni memorabili cantate in sette lingue, tra cui Sur ma vie giusto per citare quella che lo consacrò -, un’ottantina di film, soprattutto l’affetto del pubblico (anche italiano) e gli impegni umanitari per il proprio popolo e non solo: tutto questo l’accompagnò nelle decadi seguenti, quando ormai era una delle istituzioni della canzone popolare transalpina.

Una carriera leggendaria per un vero gigante della canzone novecentesca, come lo ha definito un commosso Massimo Ranieri. Una carriera lunghissima: basti dire che la prima volta che era salito su un palco aveva nove anni, e l’ultima era avvenuta meno di un mese fa, in Giappone. Chissà quanti bei duetti, adesso, con il nostro Stelvio Cipriani, maestro compositore di tante colonne sonore memorabili, tra cui l’indimenticabile Anonimo Veneziano: ci ha lasciato anche lui, a poche ore di distanza…

 

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