A voce alta

Un semplice operaio che sfida la mafia. Un uomo solo che a rischio della morte si batte contro il pizzo tenendo alta la bandiera dell’onestà. È la storia vera di Gioacchino Basile (Emanuele Cirinnà nella versione televisiva), siciliano coraggioso, da cui è nata A voce alta, fiction diretta da Vincenzo Valsecchi e andata in onda con successo su Raiuno. Protagonista del film è un ottimo Ugo Dighero che decide di affrontare a viso aperto la Piovra dopo aver visto morire il suo amico Pietro, in cassa integrazione, con due figli a carico, spinto dalla disperazione a mettersi al servizio della mafia nei cantieri navali di Palermo. A interpretarlo, l’attore catanese Mario Opinato. Da siciliano cosa hai provato nell’essere tra i protagonisti di questa storia di lotta solitaria alla mafia? Mi ha ferito dentro. Io non ho fatto la scelta di Basile. Lavoravo in una società d’assicurazione che pagava il pizzo. Come tutti. Erano gli anni di piombo, a Catania scorreva sangue. E io che volevo fare altro nella vita fuggii lontano, quanto più lontano possibile dalla mia Sicilia. Andai ad Hollywood per fare il ballerino e l’attore. Adesso mi dico. A vent’anni potevo fare altro? Da solo no, nulla. C’è chi ha evidenziato la positività della vicenda: un uomo che vince la sua battaglia contro la mafia senza essere ucciso. La politica che, attraverso l’Antimafia, si impegna concretamente al fianco di chi si espone… Evidenziare questi aspetti positivi va fatto.Ma senza enfatizzare. Il caso di Basile è una goccia nell’oceano, irripetibile. E anche la politica, passate le elezioni, spesso abbandona la Sicilia al suo destino. Sono un po’ fatalista, come tutti i miei compaesani. Le cose che dice il padre a Basile, io le ho sentite da mio nonno e probabilmente le ripeterò ai miei figli e loro ai loro. La mafia, come tutte le istituzioni secolari finirà, come è finito l’Impero Romano. Ma ci vorrà tempo, e non bastano piccole spontanee manifestazioni di dissenso. Servirebbe una movimento di massa e un impegno vero e compatto della politica, al di là degli schieramenti. Sono pessimista. Anch’io – lo riconosco – per egoismo o per calcolo, non mi sono mai esposto. In questo senso possono dare una mano film come A voce alta, che spinge a impegnarsi contro le ingiustizie in prima persona. E sottolinea un altro aspetto: quando la moglie è con te, anche se sei solo, la tua forza raddoppia. Sei stato ad Hollywood che, dal Padrino in giù, ha dato della mafia e della Sicilia un’immagine univoca e molto deteriore… È uno dei vizi del cinema americano. Vive di stereotipi difficili da abbattere. Hanno un’immagine dell’Italia molto convenzionale. Non è un caso che gli unici film italiani a vincere un Oscar siano stati quelli che si rifacevano direttamente al dopoguerra: Mediterraneo, Il postino, La vita è bella. Sono attaccati all’immagine dell’Italia che davano i film neorealisti e da quella non si staccano.

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