Winnie Mandela e la storia del Sudafrica

La vicenda di una storica militante per i diritti dei neri nella controversa vicenda del Paese africano protagonista nel Continente
EPA/STR

Il decesso di Winnie Mandela avvenuto il 2 aprile scorso all’età di 81 anni segna la fine di un’era nel paese detto dell’arcobaleno. In effetti, oltre all’arcivescovo anglicano Desmond Tutu ancora vivo, Winnie Mandela era rimasta una degli ultimi tra quelli che dagli anni cinquanta avevano fatto dalla lotta contro il regime segregazionista dell’Apartheid il motivo della loro vita.

Per tre decenni, lei e il suo marito, Nelson Mandela sono stati i simboli della lotta anti-apartheid sotto la bandiera dell’ANC (African National Congress), partito politico tutt’ora maggioritario in Sudafrica. Nata il 26 settembre 1936 a Bizana in Eastern Cape, allora noto come Transkei, Nomzamo Winifred Zanyiwe Madikizela ha ricevuto una formazione di assistente sociale prima di incontrare negli anni cinquanta l’avvocato Nelson Mandela, uomo già impegnato in politica, che diventerà il suo sposo. È stata la prima donna nera assistente sociale del paese. Il suo amore e il desiderio di aiutare i bisognosi bruciava sempre dal profondo.

Nelson Mandela prese in seconde nozze la giovane Winnie nel 1958 per un matrimonio che durò 38 anni, anche se vissero insieme sotto lo stesso tetto solo per due anni. In effetti, già nel 1960, Mandela aveva dovuto fare una vita in clandestinità per scappare dalle persecuzioni del regime dell’apartheid, e passava a casa solo ogni tanto per trovare la famiglia composta da Winnie e dalle loro due ragazze, Zenani e Zindziswa, nate rispettivamente nel 1958 e 1960. Nelson fu comunque arrestato nel 1961 e dalla sua condanna avvenuta nel 1963, la sua moglie Winnie, si trovò malgrado lei, spinta in primo piano e diventò a livello internazionale il simbolo della resistenza contro la politica razzista del governo sudafricano.

Il suo impegno nella battaglia per la giustizia e l’uguaglianza di tutte le razze nel suo paese è costato anche lei varie volte il soggiorno in prigione. È stata, infatti, detenuta dai servizi di sicurezza dello stato dell’apartheid in varie occasioni, è stata torturata, ha subito arresti domiciliari, divieti di movimento e tante altre restrizioni di libertà, tutti metodi di intimidazioni usati dal regime segregazionista sudafricano contro il movimento di contestazione della maggioranza nera del paese. Cosi racconta lei stessa di quegli anni: «…Significa che quelle torce accecanti brillavano simultaneamente attraverso ogni finestra della tua casa prima che la porta fosse aperta a calci. Significa che [la polizia aveva] il diritto esclusivo di leggere ogni lettera della casa. Vuol dire sfogliare ogni libro sui tuoi scaffali, sollevare tappeti, guardare sotto i letti, sollevare i bambini che dormono dai materassi e guardare sotto le lenzuola. Significa assaggiare il tuo zucchero, il tuo pasto e ogni spezia sul ripiano della tua cucina. Disimballare tutti i vestiti e passare attraverso ogni tasca. In fin dei conti significa il tuo attacco all’alba, trascinato via dai bambini piccoli che urlano e si aggrappano alla tua gonna, implorando l’uomo bianco che trascina via la mamma per lasciarla sola»[1].

Così, in un Paese fatto dall’80% di neri, è diventata una icona, tanto è vero che la chiamano ancora affettuosamente “Mother of the nation” (Madre della patria). È per questo che all’annuncio della sua scomparsa, Cyril Ramaphosa, da poco presidente della Repubblica Sudafricana, ha salutato la sua memoria, definendola “campione di giustizia” e continuando, ha detto “È rimasta un simbolo costante del desiderio profondo di libertà del nostro popolo”. Ha decretato funerali di stato per lei che saranno celebrati il 14 aprile prossimo. Desmond Tutu anche lui, ha espresso la sua stima nella defunta in questi termini: “La sua coraggiosa sfida (del regime dell’Apartheid) fu profondamente ispiratrice per me e per generazioni di attivisti”. Infine, l’attuale presidente del Congresso Nazionale Africano (ANC), Gwede Mantashe, ha dichiarato: “Con la partenza di Mama Winnie, [abbiamo perso] uno dei pochissimi che sono rimasti dei nostri sostenitori e icone. Era una di quelle che ci dicevano esattamente cosa è sbagliato e giusto, e ci mancherà questa guida”.

La figura di Winnie Mandela è stata tuttavia molto controversa nel suo partito e nel Paese intero. Se all’inizio è rimasta fedele ai principi del movimento di rivendicazioni dei diritti civici e politici per la popolazione nera, si è poi via via affermata con atteggiamenti dittatoriali e di corruzione che le hanno fatto perdere agli occhi di tanti quella immagine di speranza in un futuro migliore. Lungo gli anni, la sua reputazione si è macchiata eticamente e politicamente a causa dei molteplici scandali attorno alla sua persona. Negli anni 80, fu accusata di condurre un regno virtuale del terrore in alcune parti di Soweto (comune della città di Johannesburg abitato dalla popolazione nera) da altri membri dell’ANC. Si trattava della cosiddetta pratica della “collanina” che consisteva nel mettere delle ruote bruciate attorno al collo dei sospetti informatori.

La “Commissione Verità e Riconciliazione” (Truth and Reconciliation Commission) istituita dal governo di Nelson Mandela per indagare sulle violazioni dei diritti umani ha ritenuto che Madikizela-Mandela fosse “politicamente e moralmente responsabile delle gravi violazioni dei diritti umani commessi dal “Mandela United Football Club”, la squadra di calcio composta dai suoi agenti di sicurezza. È stata anche dichiarata colpevole di sequestro di persona e condannata a sei anni di reclusione per il suo coinvolgimento nella morte di un militante di 14 anni della cittadina Stompie Seipei. Ha sempre negato l’accusa e la condanna è stata ridotta a una multa.

Nonostante queste accuse, è sempre rimasta molto attiva in politica. In quanto una delle figure emblematiche dell’ANC, ha preso parte al governo dell’ANC post-apartheid, sebbene sia stata licenziata dal suo incarico in seguito ad accuse di corruzione. È stata membro del Parlamento dal 1994 al 2003 e dal 2009 fino alla sua morte ed è stata viceministro dal 1994 al 1996. Nel suo partito politico (ANC), ha servito al Comitato Esecutivo Nazionale di cui dirigeva la Lega delle Donne. Nel 2003, fu nuovamente coinvolta in controversie quando fu condannata per furto e frode. Si ritirò allora temporaneamente dalla politica prima di tornare diversi anni dopo.

[1] South-Africa history online in <http://www.sahistory.org.za/people/winnie-madikizela-mandela>.

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