Vi vogliamo vivi

Vi vogliamo vivi
"Vi vogliamo vivi". È l’invito in cui, da qualche tempo a questa parte, chi si trovi a percorrere le strade del territorio di Vittoria, nel ragusano, si imbatte tramite una serie di grandi cartelloni su cui lo sguardo non può fare a meno di posare la sua attenzione. Le immagini sono abbastanza forti, mostrano quello che succede spesso da queste parti come su tante altre strade d’Italia e che continua ad interpellare amministratori locali e governatori di qualsiasi orientamento. E i 43 mila morti sulle strade europee ricordati nella giornata dedicata alla sicurezza stradale celebrata di recente confermano, purtroppo, la perenne attualità della questione.

 

I cartelloni fanno parte di una campagna di sensibilizzazione promossa dall’associazione Dario Nicosia onlus (www.darionicosiaonlus. org) e costituiscono solo una parte del lavoro dell’associazione stessa. Con successo, infatti, anche se non senza difficoltà, i suoi membri hanno avviato incontri a tappeto nelle scuole medie inferiori e superiori della città e non solo, ed hanno fatto partire il disco bus, un autobus, appunto, che porta i giovani nelle discoteche e, soprattutto, li riporta sani e salvi a casa. E c’è anche un accordo con i gestori dei locali di destinazione: chi si serve del disco bus può usufruire gratis di una bevanda analcolica, anche perché i gestori si impegnano a non somministrare alcolici. Un gruppo di genitori che, davanti allo strazio di un figlio perduto, hanno deciso di far qualcosa per cercare di sostenere, aiutare, soccorrere, alleviare, stimolare…, si definiscono i fondatori dell’associazione che deve il suo nome a Dario Nicosia, appunto (l’omonimia con l’autrice dell’articolo è puramente casuale), un giovane che a 18 anni ha perso la vita in un incidente stradale. La tragedia, che in questo caso non è stata dovuta né all’alcool, né alla droga, ci teniamo a precisarlo, sconvolse nell’estate di due anni fa la comunità vittoriese, tenendo tutti col fiato sospeso per 35 giorni, quanti ne trascorsero dall’incidente alla morte. Dario, infatti, era un ragazzo in gamba, avrebbe dovuto frequentare la quinta classe del liceo scientifico e già, con un anno di anticipo aveva superato i test di ammissione per la facoltà di Ingegneria al Politecnico di Milano. Un figlio unico, come amavano definirlo i suoi genitori, direttore di banca lui, professoressa lei, non solo perché non aveva altri fratelli, ma per quella grande maturità ed intelligenza che lo caratterizzavano. Di fronte a quella tragedia nacque nei genitori di Dario l’urgenza di fare qualcosa perché questo non accadesse ad altri.

 

"L’associazione è nata – raccontano Maria e Salvatore Nicosia – perché la notte in cui avvenne l’incidente partimmo in tre, noi due e un amico che ciportò a Palermo dove nostro figlio venne portato in rianimazione; quando accompagnammo Dario nell’ultimo viaggio eravamo in cinquemila, fra cui centinaia e centinaia di ragazzi che erano veramente confusi, come si vedeva dai loro occhi e dai loro discorsi. Con un gruppo di genitori, allora, ci siamo chiesti cosa avremmo potuto fare per tutti quei giovani." Ecco allora gli incontri nelle scuole, che hanno avuto dei risvolti interessanti. "Tramite le iniziative dell’associazione – continuano il racconto – abbiamo potuto verificare quanto i ragazzi siano delle spugne pronte ad assorbire, imparare, acquisire. Il problema è spesso il messaggio che arriva da parte della nostra generazione. Negli adulti abbiamo colto, a volte, tanto disinteresse. Tutti, sia i ragazzi che i genitori, pensano che questa non è una possibilità che riguarda loro e in fondo, prima, pensavamo così anche noi. Abbiamo notato anche che per i ragazzi il concetto della morte quasi non esiste. Forse è un altro errore di noi adulti che tendiamo a far vedere solo il lato facile della vita. Va a finire, però, che i giovani pensano solo allo sballo, a provare un’esperienza dopo l’altra, a consumare di tutto, dai soldi, all’abbigliamento, alle amicizie e alla fine consumano anche loro stessi. Vorremmo poter fare di più", confidano ancora i genitori di Dario, che impressionano non poco per la serenità con la quale parlano della vicenda. Tanto da suscitare spontanea la domanda: "Ma voi, come avete fatto a reagire in questo modo?". "In effetti, non capita spesso di reagire così alla perdita di un figlio – mi rispondono -. Il fatto è che noi siamo convinti che Dario non è perso, è salvo e noi lo incontreremo di nuovo. E proprio per essere più certi che questo avvenga, cerchiamo quanto più possibile di fare il nostro dovere qui. Certo se non avessimo la concezione che esiste una vita dopo questa, saremmo sicuramente distrutti". Vi ha aiutato la fede? "Sì, ma non solo. Non sarebbe andata così senza due testimoni, una coppia di Palermo che ci ha aiutato tantissimo in questo percorso. Noi eravamo soli dietro la porta di Dario quando sono arrivati Gaetano e Gisella che hanno fatto per noi una cosa inimmaginabile: senza che ci conoscessero, sono venuti lì e ci hanno detto una frase che ancora oggi ci risuona di una sapienza incredibile: Il dolore va condiviso mentre l’entusiasmo si moltiplica. Siccome voi avete tanto dolore, in quattro lo portiamo meglio. Avevano ricevuto una telefonata da una nostra parente che fa parte del Movimento dei focolari e si erano messi in moto, chiedendosi cosa avrebbero potuto dirci, come ci hanno confidato successivamente. Eppure hanno trovato le parole giuste e da lì è cominciato per noi un percorso di speranza. Noi crediamo che la cosa importante non sia tanto l’associazione, quanto il fatto che da un’esperienza di dolore sia potuta nascere la speranza. Da lì poi è facile creare un’associazione o donarti agli altri se hai la certezza che tutto si può risolvere in un modo migliore. L’associazione, in fondo, è solo uno dei metodi che abbiamo a disposizione".

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