Il valore del tempo e dei tweet presidenziali

Donald Trump continua la sua battaglia a colpi di 140 caratteri. In questi giorni la gragnuola di lettere, chw durante la campagna era riservata agli avversari, è calata sui giornalisti; ma il Paese attende riforme e risposte più lunghe e durature di un messaggio social
Donald Trump

L’ultimo tweet di Donald Trump è un’immagine della Casa Bianca colorata in bianco, rosso e blu e augura un felice 4 luglio al Paese. Nel giorno del 241 anniversario dell’Indipendenza il presidente, però, non riesce a limitarsi al patriottismo; ma lancia un ulteriore cinguettio sul prezzo del gas, “mai così basso negli ultimi dieci anni”. E tutto questo mentre il suo segretario di Stato chiedeva all’Onu un incontro urgente per valutare il test di lancio di un missile intercontinentale messo in atto dalla Corea del Nord. “Non accadrà mai”, aveva twittato Trump lo scorso gennaio: e invece è accaduto proprio nella ricorrenza più celebrata dagli Stati Uniti, e quel missile ha una gittata tale da poter raggiungere l’Alaska.

Il tweet di The Donald che più ha spopolato in questi ultimi giorni è però quello del video in cui il “Commander in chief”, nelle vesti di una star del wrestling, atterra una persona – il cui volto è coperto dal logo dell’emittente televisiva Cnn, uno dei media a lui più invisi. Le reazioni sono state le più varie, sia tra le testate che all’interno del suo stesso partito; anche perché mai era accaduto che un presidente incitasse alla violenza e soprattutto contro i giornalisti, emblema di quella libertà di stampa che la Costituzione già difende nel primo emendamento. L’uso indiscriminato dei 140 caratteri fa sorgere un interrogativo: come utilizza il suo tempo l’uomo a guida di una delle potenze più autorevoli del mondo? E se a twittare e a ritoccare il video non fosse stato lui ma il suo staff, possiamo davvero giustificare che delle persone pagate per dirigere un’amministrazione usino dei soldi pubblici e del tempo pubblico per denigrare, confondere, offendere con 140 lettere?

I tweet di Trump sono diventati di fatto un’arma e uno stile di far politica: lo sono stati durante la campagna elettorale quando la gragnuola di caratteri colpiva gli avversari, continuano ad esserlo in questi primi mesi di presidenza dove però si fatica a scorgere nei cinguettii un progetto politico. I suoi sostenitori vi trovano benzina per alimentare la rabbia contro il sistema, i repubblicani cercano di contenerne la portata dirompente che sta creando non poche fratture interne, gli uomini più accorti dello staff vi mettono un freno soprattutto alla vigilia di vertici e di incontri fondamentali per il Paese: ma al potere seduttivo del tweet non si resiste, anche se per comporlo si utilizzano pochi minuti o frazioni di ore che dovrebbero aver ben altro utilizzo per un inquilino della Casa Bianca.

Quel tempo, ad esempio, è sottratto ad una seria riscrittura della riforma sanitaria: che non può con la velocità e l’emozionalità di 140 caratteri privare di assicurazione medica 22 milioni di statunitensi, e pensare in questo modo di aver messo una X ad una promessa elettorale da twittare con orgoglio. Serve tempo anche alla riforma del mercato del lavoro negli stati del Sud, a cui non basta un tweet sull’uscita dagli accordi di Parigi e il ripristino del processo estrattivo del carbone per garantire occupazione e protezione dagli inevitabili uragani che flagelleranno le loro coste tra qualche settimana. La lotta al terrorismo non si contiene negli 11 caratteri che compongono la parola “Muslim ban” e di fatto limitano l’accesso negli Usa ai cittadini di sette Paesi a maggioranza islamica, con norme poco chiare che ridefiniscono persino l’appartenenza familiare: i nonni non sono parenti ammissibili negli Usa se legati a queste nazioni.

Anche il dialogo con la Cina per sventare l’escalation nucleare della Corea del Nord richiede tempo e non esternazioni da 140 caratteri, dove si scrive che “se vogliono risolvere il problema, lo facciano”. Ora come non mai servono tavoli di lavoro con il presidente Xi Jinping, che mai permetterebbe un intervento statunitense in un’area che è sotto la sua influenza: e non basteranno i tweet minacciosi a farlo retrocedere, anche perché tante banche Usa sono rette dal denaro cinese, come del resto lo sono parecchie multinazionali statunitensi che non amano rischiare il fallimento per un cinguettio inappropriato.

Infine serve tempo anche per la ricerca di un ospedale e dei medici che si prenderanno cura del piccolo Charlie indipendentemente dai costi: ai suoi genitori non serve un semplice tweet di solidarietà, pur lodevole. Loro agognano un indirizzo e un volo che restituisca speranza al loro bambino, anche se l’informazione è ristretta in pochi caratteri.

Occorre tornare a riempire il tempo di fatti, di progetti, di prospettive per restituire dignità e peso al ruolo politico di Trump: e non basta affermare, sempre via Twitter, che “io sono il presidente e gli altri no”. In quei 140 caratteri deve tornare verità, bene comune e attenzione al Paese: e questo lo si esige sia a destra che e a sinistra. E lo esigeranno con più rigore i leader del G20, a cui non basta certo un tweet.

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