Una rondine fa primavera

Ben fatta e non priva di pregi, quest’opera ha avuto un notevole successo in Francia, anche per la popolarità della trentenne protagonista Mathilde Seigner: la rondine capace di portare la primavera in una fattoria isolata nelle montagne del Vercors. L’idea ispiratrice è stata quella di presentare una realizzazione, del tutto femminile, del desiderio, sentito da non pochi giovani, di dedicarsi ad un impegno che richiede il contatto a tempo pieno con la campagna, lontano dai modi tipici del lavoro urbano. La donna che vediamo è decisa, capace di commuoversi davanti alla sofferenza degli animali e di sentire il peso della solitudine invernale. Si tratta di un ritorno alla natura come può essere realizzato oggi e qui da noi, non in paesi esotici, né in tempi passati. Ci sono macchine moderne, deltaplani affascinanti che solcano il cielo silenziosi, visitatori richiamati dall’attività di agriturismo che la ragazza porta avanti con freschezza e simpatia. Ma la cosa più bella è la sensibilità che dimostra nei riguardi del vecchio proprietario, burbero e sospettoso del nuovo, fatta di pazienza e capacità di ascolto. E colpisce l’accostamento di queste due figure così diverse. Si avverte l’influsso della cultura contadina dell’autore, che descrive una vecchiaia dignitosa e non priva di dolcezza. Ne coglie la capacità di una visione distaccata della vita, che si esprime anche in preghiere, ingenue forse, ma confidenti. La conclusione, che mostra il ritorno della ragazza sulla montagna dopo una pausa a Parigi, svela la sua tenera premura per il vecchio, per confortarlo nel lento declino. Un film, non adatto certo a grandi platee, ma ricco di riflessioni che possono colpire in modo diverso giovani e meno giovani, per il suo rifarsi a valori importanti.

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