Una guerra “carsica”

Armenia e Azerbaijan di nuovo ai ferri corti per il Nagorno-Karabakh. Una guerra che ha antiche radici e che non cessa di tornare in superficie a periodi più o meno regolari. Il ruolo di Russia e Turchia.

La regione caucasica del Nagorno-Karabakh, contesa da sempre tra Azerbaigian e Armenia, è purtroppo di nuovo oggetto di scontri che hanno causato la morte di una ventina di persone in pochi giorni. Turchia e Russia stanno lavorando dietro le quinte per evitare il peggio, anche se i pompieri potrebbero essere nel contempo gli incendiari… La guerra era in effetti iniziata con la caduta dell’Unione Sovietica e si era concentrata sulla regione del Nagorno-Karabakh, una regione montana che all’epoca apparteneva formalmente dell’Azerbaigian, ma con una popolazione a maggioranza di cultura armena. Negli anni Novanta la guerra aveva lasciato sul campo decine di migliaia di morti, centinaia di migliaia di profughi azeri e un cessate il fuoco francamente instabile. Così, da quasi trent’anni, il confine dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh è risultato uno dei più militarizzati nella regione. In realtà il confine è oggetto di spari, ripicche, giochetti, inganni tra le due fazioni, quasi quotidianamente. Poi, ogni tanto, ecco che ci scappa il morto, anzi i morti, e la battaglia si riaccende.

Come in questi giorni, in cui la regione caucasica sta vivendo uno degli episodi più violenti da almeno 4 anni in qua. Martedì scorso, ad esempio, un bombardamento dell’esercito armeno ha ucciso almeno 4 soldati azeri tra cui un generale dell’esercito. Gli stessi armeni si vantano, poi, di aver abbattuto un drone azero. Baku, da parte sua, afferma che Yerevan nasconde l’entità delle sue perdite in vite umane, che in realtà ammonterebbero almeno a un centinaio di unità.

Non si sa, come sempre, se l’incendio sarà una fiammata momentanea o se le cose peggioreranno, sfociando in una vera e propria guerra. Il fatto è che questo conflitto, apparentemente localizzato, è collegato con questioni geopolitiche molto più ampie. Perché dietro la minuscola e fragile repubblica del Nagorno-Karabakh c’è l’Armenia, ma anche Russia e Iran, mentre dietro l’Azerbaigian appare il gigante regionale della Turchia, che si dice pronta «a sostenere i suoi fratelli martiri azeri con tutti i mezzi necessari».

Ora, sapendo la complessità delle relazioni russo-turche (Siria e Libia in particolare) si capisce come il piccolo conflitto del Nagorno-Karabakh non sia che l’ennesimo episodio di una guerra per il dominio sulla regione mediorientale, nordafricana e caucasica. Ma anche Baku e Yerevan hanno da mettere il loro tassello alla competizione per motivi interni ai rispettivi Paesi. I rispettivi governi hanno tutto l’interesse a sbandierare lo spauracchio del nemico cattivo da combattere. Entrambe le classi politiche, infatti, in questi tempi di coronavirus e di incertezze economiche, cercano di distogliere l’attenzione delle loro popolazioni dai veri problemi delle rispettive società.

C’è pure un elemento religioso, o simil-religioso, che sta dietro la riattivazione delle conflittualità in Nagorno-Karabakh. Ricordo che una decina d’anni fa, visitando la regione, ricevetti dal presidente dello staterello autoproclamatosi indipendente e dal ministro degli interni azero due pubblicazioni assai simili: gli azeri mostravano le loro moschee in Nagorno-Karabakh distrutte dalla furia cristiano-armena, mentre gli armeni avevano raccolto in volume le foto e le descrizioni di tante chiese cristiane di tradizione armeno-apostolica rase al suolo dalla furia musulmano-azera. Al solito, c’è poco o nulla di religioso nel conflitto “carsico” azero-armeno, che appare una “eruzione cutanea” di una malattia ben più profonda che infetta la regione caucasica.

 

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