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Un nuovo ruolo della Nato secondo Crosetto

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

A Padova, alla vigilia del decisivo vertice Nato sull’aumento delle spese militari, un interessante intervento a tutto campo del ministro della Difesa sul nuovo ordine internazionale e le ragioni dei conflitti sulle risorse che richiedono una trasformazione radicale dell’Alleanza Atlantica, con il concorso della ricerca universitaria

Guido Crosetto con il presidente Mattarella alla festa della Repubblica del 2 giugno 2025 ANSA/ANGELO CARCONI

Come già detto su cittanuova.it, il summit della Nato e la riunione del Consiglio europeo programmati a fine giugno 2025 stabiliscono il volto definitivo ad un massiccio piano di riarmo occidentale, sotto la regia e la spinta degli Usa di Donald Trump. Solo la Spagna di Sanchez sembra resistere a tale inevitabile direttiva, con il rifiuto di alzare la spesa militare al 5% del Pil, offrendosi alle ritorsioni tariffarie e commerciali annunciate dal presidente Usa.

In troppi si sono meravigliati della franchezza con cui Giorgia Meloni ha ribadito l’orientamento strategico seguito dal governo che presiede riassunto dal detto latino si vis pacem para bellum (se vuoi la pace prepara la guerra). Una direttiva condivisa anche da parte dell’opposizione, in continuità con le scelte operate dai precedenti esecutivi italiani di diverso colore e soprattutto dal governo di unità nazionale affidato a Mario Draghi, tra l’altro non sostenuto da Fratelli d’Italia.

Assume perciò un particolare valore il discorso che il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, ha tenuto all’Università di Padova lo scorso 20 giugno a conclusione dell’incontro La ricerca di nuove sicurezze: La difesa nazionale e la pace, fra incertezze UE ed egemonia USA; che ha visto la presenza anche di Bruno Valensise, direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna, Roberto Garofoli, presidente di sezione del Consiglio dì Stato, Lorenzo Guerini, presidente del Copasir, Marco Mascia, presidente del Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova, Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e del presidente della Regione Veneto Luca Zaia, moderati da Enrico Mentana.

Crosetto ha parlato a braccio con evidente sincerità, stimolato soprattutto dalla relazione del professor Marco Mascia, che esprime una parte del mondo definito pacifista. Il ministro della Difesa, cofondatore di Fratelli d’Italia, proviene dal vertice delle aziende della Difesa ed è stato presidente di Orizzonti navali, società controllata al 50% da Leonardo e Fincantieri.

Secondo Crosetto occorre tener presente che il mondo è cambiato radicalmente negli ultimi 30 anni, anche se in molti faticano a rendersene conto, passando «da un’epoca in cui contavano i valori e le grandi democrazie, a una in cui prevale il valore» economico e le grandi potenze. In questo scenario «l‘Europa, che non si è mai data un ruolo politico o una politica estera comune, ha perso la sua centralità e la sua capacità di incidere a livello globale». Di fatto, osserva Crosetto, il nostro continente «non ha materie prime o energetiche, e ha una popolazione che invecchia rapidamente, rendendola dipendente da altre potenze per risorse fondamentali».

Stiamo andando incontro ad un periodo in cui conteranno sempre di più « il gas, il petrolio, i minerali, il numero di soldati, il numero di bombe, il numero di aerei, la capacità nucleare, perché purtroppo abbiamo cambiato epoca e ritrovare un ruolo, per noi, per il multilateralismo e per l’Europa, in quest’epoca deve partire dalla considerazione che non siamo più il centro del mondo. Non lo siamo perché siamo totalmente divisi, perché, ad esempio, tutte le volte che vado in Francia mi rendo conto che il partito meno nazionalista francese è più nazionalista del più nazionalista italiano».

Il ministro non ha nascosto le divisioni interne all’Europa, che non rendono possibile l’adozione di una politica estera e di difesa comune, finendo per limitare il suo peso nell’ordine internazionale.

Crosetto ha invitato a prendere atto della differenza tra diritto e ordine internazionale. Il diritto internazionale è l’insieme di norme codificate nel corso di migliaia di anni, basate su principi condivisi. Invece l’ordine internazionale – ha detto il ministro – è spesso imposto dalla potenza più forte, che può decidere di ignorare il diritto internazionale quando non gli conviene. Il diritto internazionale viene applicato selettivamente o viene  messo da parte. Siamo di fronte alla fine della multilateralità, come dimostra il fatto che l’Onu ha perso la sua influenza e conta sempre di meno, al pari dell’Europa, mentre assistiamo ad una lotta per il controllo delle materie prime e la conquista della supremazia tecnologica. La competizione principale si svolge tra Cina e Stati Uniti per chi arriverà primo nell’intelligenza artificiale combinata con il quantum computing.

«Le terre rare – afferma Crosetto – sono la base per la costruzione di qualsiasi tecnologia futura. Paesi come gli Stati Uniti dipendono dalla Cina per l’80% delle terre rare, mentre l’Europa ne dipende al 100%. Questa dipendenza crea una vulnerabilità strategica enorme e rappresenta una delle sfide fondamentali che sottostanno anche ai conflitti e al riassetto dell’ordine mondiale».

Da questa analisi discende la necessità di ripensare ad un nuovo ruolo della Nato come organizzazione formata in un tempo superato, in cui il centro del mondo era l’Oceano Atlantico.

«Da 2 anni spiego alla Nato – continua Crosetto – che la Nato non ha più ragione di di esistere, perché una volta il centro del mondo era l’Oceano Atlantico. Il mondo una volta erano gli Stati Uniti e l’Europa, adesso gli Stati Uniti continuano a essere rilevanti nel mondo, l’Europa meno, ma c’è tutto il resto del mondo, non solo il Sud del mondo, i grandi attori con cui va costruito un rapporto. Perché se la Nato nasce per garantire mutua difesa, per garantire la pace, più diventa un’organizzazione che si prende questo compito a livello mondiale, parlando col Sud del mondo, dal Brasile all’India, all’Australia, al Giappone, e diventa in qualche modo qualcosa di profondamente diverso; in cui l’articolo 5 (della Difesa collettiva) diventa la base dell’ONU, cioè di un organismo multilaterale a difesa di un mondo sempre più integrato nel garantire la pace, oppure noi non raggiungeremo l’obiettivo che ci poniamo tutti, che è quello di avere una sicurezza in cui tutti possono confrontarsi all’interno di regole che valgono per tutti. Solo in tal modo si può costruire e dare forza al diritto internazionale, perché il diritto internazionale senza una forza dietro non esiste».

In tale evoluzione l’Italia, che pecca di provincialismo e conta poco come potenza in termini di risorse materiali e militari, possiede un «patrimonio straordinario di centinaia di anni di integrazione, dialogo e convivenza» che può mettere a servizio di questa evoluzione.

Ovviamente tale possibile ruolo italiano, già sperimentato con le forme di lotta alla criminalità transnazionale, richiederà l’impegno delle università che potrebbero accedere alla spesa per la difesa per finanziare la ricerca e l’innovazione.

Un discorso di largo respiro che punta sempre di più ad arruolare nel nuovo concetto di difesa il mondo dell’università, già coinvolto nelle facoltà scientifiche dai finanziamenti mirati di Leonardo, con forme di resistenza e rifiuto come la recente decisione dell’ateneo di Pisa.

Si apre perciò un vero dibattito sul ruolo delle università che ad esempio non sono riuscite in questi decenni ad offrire un sostegno alle politiche di riconversione dal militare al civile, e ora si trovano di fronte ad una proposta allettante di accedere ai fondi per la Difesa presentati come possibilità di concorrere ad una riforma in senso multilaterale della Nato. Ne parleremo nei prossimi giorni con il professor Mascia e con altri interlocutori.

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