Un fisco che difenda chi produce in Italia

La crescita degli acquisti via Internet mette in forte difficoltà le reti commerciali presenti sui territori e apre le porte a precarizzazione del lavoro e all’elusione fiscale. Una tassazione mirata permetterebbe di rimediare alla concorrenza scorretta resa possibile da patti coperti tra alcuni Stati e le società transnazionali

Acquistare su Internet è comodo: si può scegliere il prodotto nei diversi colori, con lo zoom si può anche ampliare le foto per controllare i dettagli: per di più ci viene anche indicato l’indirizzo del negozio più vicino in cui poterlo esaminare fisicamente.

Lo si ordina con un click ed il numero di una carta di credito: ci verrà consegnato in pochi giorni tramite un corriere che attrezza con una pettorina i suoi operatori, una umanità fatta di giovani ed anziani delle etnie più diverse, tutti spinti dal desiderio di ottenere quanto prima sul tablet la firma di ricevuta.

Mentre scendevamo assieme in ascensore, su mia richiesta uno di essi mi ha confessato che quel giorno col collega che lo attendeva in strada avrebbero effettuato ottanta consegne, in ben più di otto ore di lavoro, senza pause.

L’acquisto su Internet è una clamorosa innovazione che se tramite Amazon ha fatto del signor Bezos la persona più ricca del mondo, ha però messo in difficoltà non solo i piccoli commercianti, ma anche grandi catene di distribuzione, adesso indotte a licenziare di migliaia di persone.

È il progresso – si dirà – i cittadini ottengono così un servizio migliore ed ad un minor prezzo: ma è vero? Ricevere a casa un anonimo pacco di cartone, vale di più della cerimonia dell’acquisto di un capo confortati dalla approvazione e dalla garanzia di qualità del negoziante che ci conosce da sempre?

A volte poi la prova fisica è necessaria e così per difendersi da chi veniva in negozio per provare calzature da acquistare  poi su Internet a prezzo inferiore, alcuni negozianti, in caso di prova di scarpe senza acquisto sono soliti esigere un ticket.

Riguardo al minor prezzo ottenuto su Internet, siamo certi che esso sia dovuto ai risparmi per acquisti in grandi lotti, per il minor immobilizzo merce e minori costi di distribuzione?  Non dipenderà anche dal fatto che su canali di vendita dall’estero si può evitare di caricare l’onere delle imposte corrisposte da ogni esercizio commerciale per la sua gestione e la retribuzione dei lavoratori che vi operano?

Se così fosse si tratterebbe di concorrenza indebita che penalizza chi opera nel territorio  contribuendo con le sue imposte alle spese per il funzionamento della  comunità: chi vi si sottrae utilizza i servizi della comunità, l’ordine pubblico, i servizi ecologici, i trasporti, la giustizia, la scuola, la sanità ecc. senza contribuire al loro costo: questo non è un risparmio, è un furto.                                                                                                                                                                                                                                                                                            La possibilità di una diffusa elusione fiscale è un effetto della mondializzazione dell’economia, dell’aver messo negli  ultimi 20 anni buona parte delle transazioni commerciali nelle mani di organizzazioni che operano a livello internazionale, le quali possono facilmente dirottare i loro profitti dai Paesi in cui vengono realizzati verso Paesi con livello di tassazione molto ridotta; di solito Stati di piccola dimensione, alcuni dei quali anche della Comunità europea, che sono  pronti  a concedere esenzioni fiscali a scapito di altri Paesi pur di ottenere l’insediamento sul loro territorio delle sedi di grandi aziende, che di solito è accompagnato da investimenti immobiliari e posti di lavoro ben retribuiti.

La elusione fiscale dovuta al dirottamento degli utili ha come risultato un imponente drenaggio di quelle entrate fiscali degli Stati che sarebbero  necessarie a gestire i servizi pubblici, ad accrescere le risorse per la sanità per popolazioni in via di invecchiamento, a creare infrastrutture ed investire in ricerca, ad assicurare posti di lavoro per le nuove generazioni.

Senza tali risorse i governi già indebitati sono obbligati a ridurre le spese per i servizi pubblici e per gli investimenti, con il risultato che le popolazioni vedono ridurre il benessere assicurato da efficienti servizi sociali e svanire la speranza di un futuro migliore per i figli; la frustrazione e la insofferenza che ne derivano si trasformano, laddove è concesso votare, in un rifiuto di chi ha già governato, a cui si addebita la situazione, ed in una scelta di governanti diversi, che non sempre risultano i migliori: gli esempi nel mondo sono innumerevoli.

Da tempo si parla della tassazione delle attività via web, ma si tratta sempre di provvedimenti  che non riguardano il tassare gli utili nei Paesi in cui essi vengono realizzati: non è in effetti semplice realizzare una imposta che tassi equamente gli utili realizzati nei vari Stati, ma in quelli di nuova industrializzazione, per mia esperienza diretta in Tunisia ed in India, si è risolto il problema imponendo una imposta sul fatturato realizzato nel Paese dalle aziende estere; chi nel Paese paga tali fatture deve trattenere dalle stesse e versare allo stato la “tassa sulla vendita”, la cosiddetta Witholding Tax, che varia dal 10 al 15 %.

Una imposta che aumenta il costo per chi acquista se il prodotto è disponibile solo all’estero, ma che rende più competitivi i prodotti del Paese. È una specie di dazio generalizzato, proprio quello che la Comunità europea si è proposta di evitare al suo interno, ma che le furbizie di alcuni Paesi europei (Irlanda, Olanda, Isole del Canale, Malta, Cipro, Lussemburgo) obbligano a proporre fintanto che non si unificheranno i trattamenti fiscali; per colpa dei patti fiscali segreti da essi sottoscritti con le multinazionali che pongono in essi le loro sedi, essi rendono possibile la elusione delle loro imposte in tutta Europa e nel mondo.

Si dirà che l’Italia, che esporta più di importare, ci perderebbe, ma con l’enorme elusione fiscale dovuta al web, il vantaggio vi sarebbe comunque; non solo, l’Italia indurrebbe gli altri Paesi europei a fare altrettanto, e poi si potrebbe procedere ad una compensazione a parità di percentuali di imposta sugli utili.

Intanto lo Stato raccoglierebbe risorse per migliorare la sanità, le infrastrutture, e ridurre il debito pubblico; se i beni acquisiti sul web costeranno il 15 % in più per colpa dell’imposta, i nostri commercianti avranno modo di vendere maggiormente ed essere remunerati se non altro per il fatto di essere ogni giorno a nostra disposizione.

 

 

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