Tutto è iniziato da un antico vaso sbeccato

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Èspesso difficile sapere quando una vicenda veramente incomincia; questa potrebbe risalire addirittura al 1200, quando un indigeno del Perù modellò un vaso per trasportare l’acqua. Dopo varie vicissitudini, un carissimo amico mi regalò proprio quel vaso, che a sua volta gli era stato donato come ringraziamento per aver portato del cibo con un aereo ad un villaggio isolato. Come ceramista, ho fatto tesoro di quel dono. Ma per capire questa storia è necessario racconti qualcosa d’altro. Mia moglie ed io, desiderosi di aiutare i poveri, nei primi due anni di matrimonio ci siamo impegnati in un’associazione umanitaria. Oltre ad essere ceramista, ho dipinto quadri ad olio, ho fatto il fotografo, il chimico metallurgico, il commerciante e pianificatore per l’Ibm, il tutto in 18 anni. Eravamo anche alla ricerca di una spiritualità, ed abbiamo conosciuto in quegli anni il Movimento dei focolari. L’Ibm nel 1989 mi ha trasferito con tutta la famiglia dall’Arizona nella valle dell’Hudson, nello stato di New York. Abbiamo visto in questo la mano di Dio, perché ci saremmo trovati proprio vicino ad una delle cittadelle del movimento, la Mariapoli Luminosa, che stava iniziando proprio in quegli anni. Alla Luminosa siamo diventati presto amici di una giovane famiglia, Mark e MaryBeth Warden, coi loro quattro bambini. Nel 1991 circolavano voci di grossi licenziamenti da parte dell’Ibm. Proprio quell’anno, era stato lanciato il progetto per una Economia di Comunione. La cosa ha entusiasmato molti, tra cui anch’io, per l’idea di poter contribuire in questo sforzo mondiale a lungo raggio per aiutare i poveri. Non sapevamo però se avevamo tempo e capacità sufficienti per iniziare un’azienda. In fondo, io lavoravo ancora all’Ibm, pur nell’incertezza di essere licenziato. Nel frattempo, la nostra amica MaryBeth si è ritrovata malata di cancro. Dopo sei mesi di lotta contro la malattia, non essendoci più niente da fare era tornata a casa, per trascorrervi i suoi ultimi giorni. In una grigia e fredda domenica alla fine di febbraio, stava iniziando l’ennesima nevicata. Jennifer, mia moglie, stava cucinando degli spaghetti al sugo. Io mi sono accomodato in poltrona per rivedere una puntata di Star Trek. Jennifer ed io avevamo varie volte discusso sui programmi televisivi da seguire, e con che ritmi. Ma quel giorno Jennifer lanciò una proposta: mettiamo la televisione fuori dal soggiorno, nel tinello. E così si era messa a spostare dal muro lo scaffale su cui era piazzata la tv. Immediatamente tutti abbiamo udito un rumore di cocci. Non c’era dubbio, si era rotto proprio quel vaso antico, che da poco avevo piazzato su quello scaffale. All’unisono le nostre due figlie hanno esclamato: Ci dispiace tantissimo, papà. Non ho mancato allora di far loro notare che io avevo rotto tante cose nella mia vita, ma che la loro mamma in quel momento si era certamente sentita molto più colpevole di me” Ho raccolto i cocci e li ho buttati nel cestino. Pochi minuti più tardi suona il telefono. Era Mark, che ci comunicava che Mary Beth avrebbe voluto vederci. Il nostro trambusto familiare ha ripreso le sue giuste dimensioni: quei cocci non erano poi così importanti. E, con i nostri spaghetti, ci siamo recati dai nostri amici. Tre giorni dopo Mary Beth ci ha lasciati. Un mese dopo mi sono trovato a dire ad alta voce quanto mi era rincresciuto di aver buttato via i cocci di quel vaso. Jennifer ha aperto un cassetto sorridendo: aveva raccolto i pezzi dal cestino e li aveva conservati. Me li ha messi davanti, ed io ho iniziato a cercare di incollarli. L’essere riuscito a rimettere insieme quel vaso, con una certa perizia, mi ha dato una grande soddisfazione. E mi è perfino venuta l’idea di usare la cenere del camino per nascondere le fessure ancora visibili. Guardando quel vaso riparato, mi sono chiesto se per caso nel nostro ambiente ci fosse bisogno di questo tipo di mestiere. Ho così telefonato ad un amico antiquario. Mi ha subito fatto notare che non avevo neanche l’idea della difficoltà di un tale lavoro, e quanto tempo ci sarebbe voluto per diventare un professionista nel campo. Comunque mi invitò al suo negozio per osservare dei restauri assolutamente invisibili. Ne sono rimasto strabiliato ed anche un po’ scoraggiato. Non si riusciva minimamente a capire dove erano avvenute le rotture originali” Si è tuttavia offerto di telefonare ad un restauratore di ceramica chiedendogli di farmi un po’ di apprendistato. Jeff, questo restauratore, acconsentì. Così ho lavorato con lui per quattro giorni interi. Gliene sarò grato per sempre. Poi, a casa, ho fatto pratica, pratica, e ancora pratica. Avevo mantenuto il mio lavoro all’Ibm, e così restauravo ceramiche nei fine settimana. Ora vedo in tutto ciò la protezione di Dio, che così permetteva la nascita della futura azienda. Scrissi a Chiara Lubich per chiederle un nome per la mia neonata impresa. Lei scelse Terra Nuova, un nome perfetto. Far nuovo il vecchio” E debbo dire che in tutti questi anni ho avuto quasi ogni giorno occasioni propizie per rimettere insieme cose rotte” Non solo vasi, ma anche rapporti familiari, come quella volta che una nipotina ha rotto il piatto favorito della nonna” Nel settembre 1996 mi hanno finalmente chiesto di andarmene dall’Ibm. Il mio hobby del fine settimana, l’aziendina nascitura Terra Nuova ora doveva sostenere tutta la famiglia e mandare una figlia all’università. Ho intrapreso questo nuovo percorso non senza trepidazione, e Jennifer ha cambiato il suo lavoro per poter avere un’assicurazione medica per la famiglia. E l’azienda è cresciuta poco alla volta, dando valore ad ogni cliente, ascoltando ogni loro storia, restaurando ogni pezzo. Ho imparato da tutti. Mi sono altresì accorto che Dio stesso si era fatto carico del mio apprendistato. Varie volte, appena finito un pezzo difficile, una telefonata interrompeva il mio sospiro di sollievo con l’annuncio: Si è rotto ancora”. Mi sono specializzato in alcuni tipi di ceramica, ma cercavo di essere aperto a capire i gusti e gli interessi di ogni cliente. Molti di loro sono antiquari o collezionisti, ed hanno uno standard molto elevato per quanto riguarda la raffinatezza e la perfezione che richiedono nel mio lavoro. Il mio scopo è quello di ripetere la visione originaria dell’artista, senza peraltro cancellare l’usura normale del tempo. A volte questi miei princìpi sollevano domande di etica professionale. Un cliente, infatti, mi chiese di cancellare un segno alla base di un vaso. Mi sono accorto che avrebbe alterato la presunta età di quel vaso, e quindi anche il suo valore, e così mi sono rifiutato. Ho anche deciso di non fare nessun lavoro di restauro senza l’assicurazione che il cliente indichi che quel pezzo deve per forza essere restaurato. Quando mi chiedono il preventivo di un lavoro, cerco di comprendere il punto di vista del cliente, e a seconda del valore del vaso e del costo di restauro, spesso consiglio di non restaurarlo. Essere fedele all’etica professionale e ai bisogni di ogni cliente è per me un modo di mettere in pratica i valori evangelici nella mia azienda di Economia di Comunione. Un grosso colpo l’ho ricevuto due anni più tardi: al mio controllo medico annuale, i valori del mio fegato risultavano altamente abnormi, al punto che mi dissero di smettere di lavorare. È stato un vero choc per me. Tra l’altro mi sentivo bene, e avevo sempre usato molte precauzioni. Mi mettevo sempre guanti, maschera, usavo ventilatori; ma evidentemente non era stato sufficiente. I risultati di altri esami medici hanno rivelato una severa allergia a determinate sostanze chimiche. Certo, nel mio lavoro, ero sempre a contatto con colle, resine, pitture, smalti, e quindi i medici sono arrivati alla conclusione che io vi ero allergico. Non mi arrendo facilmente, però. Ho telefonato a compagnie chimiche, ho fatto studi e ricerche, ed ho costruito un posto di lavoro con tutte le tecnologie di sicurezza disponibili sul mercato. Ho iniziato ad indossare quella che chiamo la mia tuta da astronauta, ed ho costruito un sistema per pompare aria fresca dall’esterno nella maschera. Il fegato si è normalizzato, e sono tornato in buona salute ed ho appena completato il restauro numero 4 mila. La mia azienda non dà lavoro a tante persone. Ricavo solo un modesto profitto che metto a disposizione di chi ha bisogno. Non è un’azienda di assistentato sociale, ma vuole mostrare che l’amore di Dio, sfruttando i talenti che mi ha dato, può aiutare il mondo. È per me un privilegio far parte di questa iniziativa globale, dal mio posto di lavoro nello stato di New York. Questa è la storia di Terra Nuova, nata da un antico vaso rotto. Come spesso dico, quel vaso ha più valore per me ora restaurato che prima di essere andato in cocci.

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