Tutto concorre al bene

In Dio l’amore, l’onnipotenza, la sapienza, l’onniscienza, la misericordia, la giustizia sono tutt’uno. Possiamo sempre credere all’onnipotenza di Dio.
Giovani in preghiera

Ricordo il “miracolo” della pace in Irlanda quel primo settembre 1994, alle ore 11, con l’annunzio del “cessato il fuoco” da parte dell’Ira. Proprio nell’ora in cui in tutto il mondo nel Movimento dei focolari si prega con il time-out per la pace. Dopo quasi 30 anni di terrorismo, con 3594 morti e più di 15 mila bombe esplose, in una situazione che sembrava impossibile da risolvere… Eppure, all’improvviso, quando pochi sembravano ancora sperarlo, “cuori induriti”, di pietra, sono diventati “di carne” e il processo di pace è iniziato.

 

Si sa: i piani e i tempi di Dio non sono i nostri. È una lezione che giunge dalla storia della salvezza: da Abramo a Giobbe, da Geremia a san Pietro. Eppure in Dio l’amore, l’onnipotenza, la sapienza, l’onniscienza, la misericordia, la giustizia, sono tutt’uno. Possiamo sempre credere all’onnipotenza di Dio e credere che tutto concorre al bene, nei suoi misteriosi piani. Anche se non lo comprendiamo pienamente.

La rivelazione cristiana, inoltre, apre una logica trinitaria dell’amore che ci è rivelata e donata da Gesù risorto. Per lui, siamo portati “dentro” il rapporto di amore delle persone della Trinità e, quindi, siamo “figli” nel “Figlio”, come afferma san Paolo nella lettera ai Galati. Anzi, per la grazia di essere Corpo di Cristo, siamo, in un certo senso, “Figlio” rivolto verso il Padre onnipotente.

Vivendo la nostra libertà nella figliolanza fiduciosa, tutto possiamo aspettarci da lui. Ecco la nostra dignità, di cui ha parlato così bene papa Leone nelle Omelie sul Natale. La preghiera, specialmente quella fatta insieme, «uniti nel nome di Gesù», diventa una preghiera potente, potentissima.

Scriveva il teologo russo Bulgakov: «Nella preghiera possiamo rivolgerci a Dio in diversi modi: dall’abisso della nostra condizione di creatura, in un atteggiamento di creatura verso Dio quale creatore; o di quella della nostra filiazione divina verso il Padre del Signore Gesù Cristo che ci ha mandato lo Spirito Santo. (…) L’uomo si rivolge a Dio non soltanto “dal profondo” della sua condizione di creatura, della sua nullità, del suo non-essere; ma altresì dall’interno della sua filiazione divina e della sua teantropia, non come “schiavo, ma come figlio, esclamando Abbà, Padre!”. (…) È in lui (in Gesù) e con lui che preghiamo ormai Dio e il Padre».

Lo vediamo in Maria, la “Figlia” per eccellenza. Lo possiamo vedere in un modo normale, perché così è la sua vita. Lo possiamo vedere anche in una modalità eccelsa, perché così lei è vissuta.

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