Transizione ecologica e politica delle armi, tutto è connesso

Il programma di transizione ecologica del governo Draghi e la missione delle grandi società pubbliche. Da Leonardo a Fincantieri. Incontro pubblico sul web il 17 febbraio 2021 verso le settimane sociali di Taranto
Transizione ecologica e armi. Drone ad uso militare. AP Photo/Jon Gambrell

Transizione ecologica, Recovery plan e Green new deal.  Sono questi i giorni decisivi in cui il governo guidato da Mario Draghi deciderà come utilizzare i 209 miliardi di euro che arriveranno dall’Unione europea. Non sono una vincita alla lotteria che ciascun stato può spendere come vuole. Esistono dei vincoli ben precisi, finalità da rispettare, che verranno controllate con precisione, passo dopo passo, prima di erogare le rate di una massa di denaro che in parte (127, 4 miliardi di euro) non sarà concesso a fondo perduto ma andrà restituito, seppure a tassi molto bassi e nel lungo periodo, caricando di un ulteriore onere le future generazioni di italiani che partono già con circa 2.600 miliardi di debito pubblico.

In questi anni ci siamo mossi come una macchina col freno a mano tirato, non abbiamo potuto, ad esempio, investire in maniera adeguata su settori emergenti, mettere in sicurezza il territorio, fare le bonifiche necessarie e spendere il necessario sulla sanità e molto altro ancora perché parte delle entrate statali se ne sono andate per pagare gli interessi sul debito pubblico: 707 miliardi tra il 2010 e il 2019, 727 miliardi nel decennio 2000-2009. Nello scenario ipotizzato per il prossimo decennio ( 2020-2029) da Unicredit, prima dell’insorgenza della crisi pandemica,  si prevedeva una oscillazione tra 563 e oltre mille miliardi di euro.

Il debito buono

Dall’alto della sua competenza economico e finanziaria, maturata in incarichi di grande responsabilità e prestigio (a livello istituzionale e della finanza privata), Mario Draghi ha dettato, nel marzo 2020, in un intervento pubblico sul Financial Times, una nuova linea di condotta, seguita dall’Unione europea, che distingue il debito buono (che fa ripartire l’economia) da quello cattivo (che porta al dissesto).

La nuova direttiva è stata tracciata poco dopo la dichiarazione dello stato di pandemia, cioè, come ha precisato Draghi, davanti ad «una tragedia di proporzioni potenzialmente bibliche», alle conseguenze di una inevitabile recessione che può disegnare le stesse condizioni che, nel ventennio novecentesco, hanno provocato un conflitto mondiale.

Tanto per rendersi conto del problema, nel redigere il Piano nazionale di ripresa e resilienza ( Pnrr), Roberto Gualtieri, ministro dell’economia del secondo governo Conte, aveva dichiarato di voler usare prima le risorse a fondo perduto e dopo quelle a debito.  Adesso che l’ex governatore della Bce si trova al vertice dell’azione di governo, con una vasta maggioranza parlamentare trasversale richiesta dal Quirinale, ha costituito un vero e proprio ministero al Recovery plan che ha definito della “transizione ecologica”. Il Next Generation Eu, infatti, considera la svolta ambientale, assieme a quella digitale, la chiave di volta per una vera e duratura ripartenza dell’economia.

In Francia è accidentato il percorso già avviato del ministero della “transizione ecologica e solidale” a causa dello scontro di idee tra i diversi titolari del dicastero e il presidente Macron. In Italia l’incarico del ministero non è stato affidato ad un esponente del vasto mondo ambientalista, neanche ai realisti che parlano di “sviluppo sostenibile”, ma a Roberto Cingolani, uno scienziato che proviene dall’incarico di responsabile per l’innovazione tecnologica della Leonardo Spa. L’ex Fimeccanica, rientra tra le  grandi controllate dallo Stato che sono tenute a perseguire una finalità di politica economica e industriale e non solo a distribuire dividendi tra gli azionisti.

Il governo, come hanno ripetuto due economisti autorevoli come Fabrizio Barca e Enrico Giovannini (ora neo ministro dei Trasporti e infrastrutture), è tenuto a dare alle aziende pubbliche «un mandato esplicito a realizzare innovazione e sostenibilità».

Fincantieri, Leonardo e la Saudi vision 2030

Finora l’indirizzo prevalente seguito, nei fatti, da Leonardo ex Finmeccanica, che rappresenta un grande patrimonio di competenze e tecnologie avanzate, è stato quello di dismettere imprese d’avanguardia in campo civile ( dai trasporti all’energia) per concentrarsi su quello degli armamenti. Emblematico in tal senso l’accordo con la statunitense Lockheed Martin per il progetto dei caccia F35 che ci vede partner di secondo livello ma con un centro di assemblaggio a Cameri (Novara) che è destinato a servire le esigenze dei diversi acquirenti internazionali del cacciabombardiere idoneo a trasportare anche ordigni nucleari come quelli che sono presenti in Italia nelle basi militari di Aviano (PN) e Ghedi(BS).

Leonardo rientra tra le prime 10 multinazionali dei sistemi d’arma, promuove alleanze internazionali per conquistare mercati in crescita come quelli del Medio Oriente. Ma, più in generale, è il nostro sistema Paese che intercetta, con le sue imprese, una fetta significativa della spesa militare mondiale.

Anche Fincantieri, controllata dallo Stato, non ha potuto acquistare il controllo dei francesi Chantiers de l’Atlantique ma ha venduto, recentemente, 2 navi fa guerra all’Egitto come primo passo di una strategia che la vede in lizza per conquistare le altre importanti commesse previste dal programma di espansione del regime di al Sisi. Tramite la sua controllata statunitense, Fincantieri si è impegnata a consegnare altre navi da guerra agli Usa e al suo alleato più fedele, oltre ad Israele, nell’area mediorientale e cioè all’Arabia Saudita. I sauditi, come riporta l’ultimo rapporto Ispri, sono i primi acquirenti di sistemi d’arma al mondo (precedono, nell’ordine, India, Egitto) mentre sono intenti a veicolare l’immagine positiva di un nuovo Rinascimento possibile tramite la loro munificenza, seguendo le direttive della Saudi vision 2030, un piano di sviluppo economico e sociale elaborato dalla statunitense Mc Kinsey, conosciuta come la più grande società di consulenza strategica al mondo. Tra gli obiettivi da raggiungere c’è, ad esempio, quello di aumentare la percentuale del lavoro femminile e quello di rientrare tra le «prime 15 economie più forti al mondo».

Si comprende, perciò, l’auspicio, ad esempio, del Centro studi Machiavelli, di area leghista, che assieme a Guido Crosetto, presidente dell’associazione delle aziende italiane di aerospazio, difesa e sicurezza, chiede di non disertare l’expo di armi (World Defense Show) che si svolgerà in Arabia Saudita nel marzo 2022 e che vede già la Francia di Macron in posizione di notevole vantaggio.

Next Generation Eu e il caso del Sulcis Iglesiente

Il nocciolo della questione resta, quindi, l’orientamento che prenderà la transizione ecologica nel nostro Paese secondo l’indirizzo che vorrà imprimere il governo Draghi. Esiste un patrimonio industriale che può essere indirizzato sui settori strategici di innovazione ambientale ad uso civile, indicati nel Next Generation Eu oppure continuare nel solco tracciato, finora, a favore del comparto militare, in prodotti che devono trovare il loro mercato di sbocco, aggirando in qualche modo il divieto posto dalla legge 185/90 di vendere armi ai Paesi in guerra e/o che violano i diritti umani.

L’opposizione registrata in Italia, a partire dalla ostinata resistenza di un pezzo di società civile in Sardegna, verso l’invio di bombe destinate ai cacciabombardieri sauditi ed emiratini impegnati nel conflitto in Yemen, ha permesso di aprire gli occhi sull’intero sistema. Nel caso concreto che investe il territorio del Sulcis Iglesiente non si tratta di grandi società italiane ma di uno stabilimento di produzione controllato da una multinazionale tedesca. Il rifiuto di far parte di questo tipo di filiera internazionale ha visto, poi, i portuali di Genova impegnati, assieme ai loro colleghi di altri porti europei, a non prestare il proprio lavoro a servizio delle navi cargo saudite cariche dei sistemi d’arma.

Alla fine anche la Camera dei deputati ha deciso, a dicembre 2020, di chiedere al governo di continuare la sospensione dell’invio di armi decisa dal primo governo Conte nel 2018. Ma stavolta uno degli ultimi atti dell’esecutivo, ormai dimesso, è stato quello di andare oltre e di revocare le concessioni all’invio di bombe ai sauditi agli emiratini. È, poi, arrivato, ad inizio febbraio, il cambio di direzione da parte degli Usa che, con il nuovo presidente Biden, hanno deciso di revocare il loro sostegno alla guerra della coalizione saudita nello Yemen «compresa le vendite rilevanti di armi» destinate a tale conflitto.

La miopia politica e l’incapacità di guidare gli eventi, pur quando era prevedibile uno stop all’invio eclatante di ordigni in zone di guerra, ha impedito di cercare una soluzione alternativa all’offerta di lavoro legata alla produzione bellica. Sono arrivate proposte da reti associative, ma la materia avrebbe dovuto essere oggetto del Piano regionale del Sulcis e di studio da parte di Invitalia, «l’agenzia governativa nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa», proprio per non cedere al ricatto occupazionale.

A partire da questo caso eclatante fino all’indirizzo reale che si vorrà dare alle grandi società controllate dallo Stato si capirà la leva generativa del Recovery plan.

Tuttoèconnesso è l’hastag che contrassegna il percorso di consapevolezza dei cattolici italiani in cammino verso le settimane sociali che si svolgeranno a Taranto dal 21 al 24 ottobre 2021 ponendo al centro “Ambiente, lavoro e futuro”.

Da tale esigenza nasce perciò la proposta, con un primo incontro via web del 17 febbraio 2021, di orientare l’attenzione verso il legame tra il ripudio costituzionale della guerra e la necessità irrimandabile di una conversione economica integrale.

Qui il link all’evento che si può seguire in diretta sul canale yoitube di Economia disarmata, gruppo di lavoro promosso dal Movimento dei Focolari in Italia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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