Tra tolleranza ed intransigenza

Il saggio di Vladmyr Martelli ci racconta le figure emarginate, spesso ghettizzate, che affollano le strade di Roma

tolleranzaA discapito del nome che ricorda le steppe e la tundra, il suo aspetto e soprattutto la sua parlata non nascondono neppure un attimo la sua romanità. Vladmyr Martelli, funzionario pubblico e studioso di storia e di organizzazione delle pubbliche amministrazioni ha scritto un saggio che, ripercorrendo secoli di storia e arrivando ai giorni nostri, analizza quella moltitudine di persone che, soprattutto in una città come Roma, da sempre hanno affollato, come ombre indefinite, le vie della Capitale.

Figure emarginate, spesso ghettizzate, quasi sempre viste con fastidio ed intolleranza. Tra tolleranza ed intransigenza, questo il titolo del saggio per i tipi di Bibliotheka, ci conduce per mano attraverso le pieghe del tempo e ci mette davanti ad un quadro estremamente interessante e ricco di contraddizioni, di cui, volenti o nolenti, siamo chiamati a fare i conti.

Da dove nasce l’idea di un saggio così particolare e ricco di chiaro-scuri?
Sicuramente gli studi universitari sono stati importanti in tal senso; aver conosciuto studiosi come il prof. Monticone e il prof. Riccardi ha condizionato la scelta di dedicarmi a capire come le categorie marginali sono trattate dal potere in quel contesto così peculiare che è Roma, la città del cattolicesimo, la città del Papa. L’opera è frutto di momenti diversi, di saggi scritti, pubblicati e rivisitati per farne un documento unico. Rileggendo il tutto si scorge un fil rouge nei secoli presi in considerazione. L’incontro con queste minoranze, con questi diversi, vagabondi, prostitute, zingari, schiavi, convertiti, genera reazioni per lo più di repulsione. In realtà anche oggi, come nei secoli analizzati, spesso si passa da una situazione stabile fatta di sicurezza ad una incerta, piena di insidie, a causa della perdita del posto di lavoro, per una malattia o perché si nasce in contesti di estrema povertà e violenza. Analizzare e capire tutto questo, ci aiuta a comprendere dove sta andando la nostra società, magari per costruirne una migliore.

Pensa che Roma abbia perso il senso della carità e della tolleranza verso le classi marginali?
Attualmente c’è un ritorno all’individualismo che chiamerei collettivo, dove persone che si sentono uguali tra di loro, per nascita, obiettivi, etnia, cercano in qualche modo di “preservarsi da contaminazioni”. Chi vive ai margini della società mette in discussione le nostre certezze, insidia la nostra presunta stabilità. Si ha paura degli immigrati: il clandestino viene volutamente scambiato con il rifugiato, il barbone dà fastidio con la sua sola presenza. Ciclicamente, i momenti di intolleranza si alternano a quelli di apertura o meglio di sopportazione, che esplodono in periodi storici particolari, quando vi è crisi economica, carestie, penuria di beni. In questi momenti si cercano i capri espiatori nelle persone border line, che con un termine desueto fanno parte di quelle che ho chiamato “categorie marginali”. L’uomo contemporaneo è, come sosteneva Teodorov, “spaesato” perché la tradizione e i valori di riferimento sono messi in discussione dalla globalizzazione, dai cambiamenti profondi, dalla mancanza di un ciclo di stabilità, dalla crisi della famiglia. Contestualmente vi è l’incertezza del futuro. In questo quadro si smarrisce il senso della carità mentre paura dell’altro e insicurezza emergono con prepotenza.

Un capitolo è dedicato alle etnie rom, forse le categorie meno sopportate…
Innanzitutto quando si parla di zingari, di etnie rom bisogna sapere che si è davanti ad un mondo variegato, di religione e cultura diversa: si dice rom o zingaro ma stiamo parlando di Sinti, Khorakhanè, Rudari, ecc. Tra loro ci sono seconde generazioni, che sono nate e cresciute in Italia. Il loro vivere al limite del sociale, mendicando, con comportamenti al limite del delinquenziale, la loro presenza invasiva per strada li rendono diversi per eccellenza, talvolta fastidiosamente. Come comportarci allora? La reazione immediata è quella di trovare in loro un potenziale nemico perchè in qualche modo questo ci rassicura facendoci sentire pronti a presidiare i nostri perimetri di benessere. Non ho la capacità di fornire una soluzione che possa andare bene per risolvere il problema della loro non integrazione, sono convinto però che la questione degli zingari debba essere affrontata da tutti con pacatezza, ponendoci domande serie, e questo non vuol dire non punire chi commette crimini e reati, ma iniziare ad interrogarsi, per capire e combattere stereotipi che hanno radici profonde nella nostra cultura.

L’amplissima bibliografia fa capire il lavoro nella stesura del saggio Quali le fonti a cui ha attinto?
Lo studio delle categorie marginali, come ci hanno insegnato grandi maestri come Bronislaw Geremek, deve partire dal quotidiano ed uno dei luoghi privilegiati dove attingere notizie su tali minoranze sono i cosiddetti archivi criminali. A Roma i documenti sono rinvenibili in particolare nell’Archivio di Stato di Roma (per l’epoca moderna). Le altre informazioni provengono dagli Archivi Vaticani. La presenza di un quartiere zingaro è stata acclarata anche con l’aiuto di documenti presenti nella Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e negli Archivi del Vicariato con la consultazione dei Liber Status Animarum, ovvero i libri delle parrocchie dove veniva censita dai sacerdoti la popolazione del territorio parrocchiale. Per la parte contemporanea enorme rilevanza ha la presenza in Roma dell’Archivio Centrale dello Stato, dove sono custoditi tutti i documenti dai quali ho tratto le informazioni sugli zingari dall’Unità d’Italia fino al periodo fascista.

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