The Sun: i frutti di un cammino

Intervista a Francesco Lorenzi, autore e cantante del gruppo, all’indomani della tappa romana del tour della rock band italiana
Foto di Silvia Dalle Carbonare

È partito a maggio il nuovo tour dei The Sun, la rock band italiana che lo scorso dicembre ha festeggiato, con un disco collection, i primi vent’anni di cammino. Ogni benedetto giorno è il titolo dello show che li sta portando in giro per l’Italia, nel quale brani musicali, dialoghi e video raccontano la bellezza della quotidianità, di un modo positivo di vivere la vita che porta frutto. Abbiamo intervistato Francesco Lorenzi, autore e cantante del gruppo, all’indomani della tappa romana del tour.

Francesco, nel tuo blog scrivi che in questo tour volete «raccontare i frutti del ‘dopo conversione’, del qui e ora». Quali sono le novità del tour e quali i frutti del vostro cammino?
La novità del tour è che dopo anni di esperienze live dove centravamo l’attenzione in modo particolare sugli anni del nostro cambiamento, della nostra conversione, oggi per noi è una grande gioia poter raccontare i frutti, perché è bello portare all’attenzione di tante persone l’efficacia che c’è nell’intraprendere un percorso con una direzione retta, luminosa. L’emozione del cambiamento può essere coinvolgente, però l’importante è riuscire a radicare quella emozione in qualcosa di più profondo, quindi cerchiamo di portare, insieme alle canzoni, questa testimonianza. I frutti sono: la bellezza di diventare un’insegnante di musica per il batterista o il fatto di credere nell’amore, fare un percorso per arrivare al matrimonio e sposarsi per il bassista.

Nei testi delle vostre canzoni ricorrono le parole ‘fedeltà’, ‘fraternità’, ‘libertà’. Che significato hanno per te?
Sicuramente la più bella, la più impegnativa, quella che mi sta accompagnando da diversi anni è fedeltà. Per una persona con un trascorso come il mio è stata una rivoluzione perché c’è stata una parte della mia vita in cui credevo alle relazioni “mordi e fuggi” e anche solo sentire questa parola poteva darmi fastidio. Poi, grazie a Dio, ho visto la bellezza e la forza che c’è nella perseveranza, nella fedeltà ad un progetto. Dio è fedele, però anche noi dobbiamo fare la nostra parte: ciò comporta non solo fedeltà nell’amore ma anche nell’amicizia. Da qui passiamo all’altra parola: fraternità. Fraternità è più di amicizia ed è in questo cammino di amore fraterno che ci si riscopre migliori di come si era, però deve essere anche intesa come correzione fraterna, come un cammino in cui ci si deve fare la carità della verità. Questo nella nostra vita sta facendo la differenza ed è la più bella benedizione che stiamo vivendo.

Infine, la libertà. Libertà non è fare ciò che si vuole ma accogliere ciò a cui siamo chiamati. Il padre spirituale della band è un agostiniano, quindi c’è tutta una teologia che ci accompagna nel confronto con la libertà, che molte volte viene confusa con tante cose che sono diverse dal significato vero della libertà ed è un concetto che noi cerchiamo di esprimere con la vita, attraverso le canzoni e soprattutto quando andiamo nelle scuole. Cerchiamo di far comprendere quanto sia necessario avere consapevolezza di sé, del peso delle proprie scelte e, in questa consapevolezza, maturare la libertà vera, autentica.

Come sono i giovani che incontrate nelle scuole?
Il mondo dei giovani che incontriamo è estremamente variegato e cambia da città a città. Quando andiamo nelle scuole vediamo una situazione non facile, perché i ragazzi spesso possono sembrare superficiali. La verità è che spesso non hanno avuto adulti credibili e, appena si interfacciano con persone che danno ragione del loro modo di vivere, si accende la luce che è nel cuore di ogni giovane di qualsiasi tempo. È però una sofferenza constatare che, il più delle volte, vivono senza essere consapevoli della bellezza della loro età, delle opportunità che hanno. Più le città sono grandi, più vediamo un’assenza genitoriale e i ragazzi crescono di fronte agli schermi del computer, del telefonino, col rischio di trovarci con una generazione di persone che faranno fatica a relazionarsi tra loro, ad avere una buona relazione con sé stessi, con problematiche che poi sfociano nella depressione, nell’utilizzo di psicofarmaci. È importante investire tempo e risorse affinché i ragazzi possano incontrarsi, vivere esperienze di comunità, di lavoro.

Secondo te, oggi, cosa avvicina i giovani alla fede e cosa li allontana? Quando eri un giovane ventenne cosa avresti voluto dalla Chiesa?
Tante volte i ragazzi lamentano la mancanza di una persona con cui confrontarsi sulle cose più importanti della vita. Talvolta lamentano una distanza tra la realtà della vita e quello che viene trasmesso durante l’omelia o un’attività parrocchiale, ma in tante comunità stiamo vedendo, a livello di progetti pastorali, una maggiore consapevolezza. Però è sempre importante il metodo con cui si propone un’esperienza. Quando avevo vent’anni consideravo l’ambiente parrocchiale un ambiente di serie B. Ero un ragazzo esigente, sapevo quello che volevo dalla vita ma in parrocchia erano lenti e questo non rispondeva ai miei desideri, ai miei talenti ed è una situazione che si verifica anche adesso. Negli anni, come The Sun, abbiamo cercato di avere una qualità di primo livello perché così i ragazzi vengono attratti dalla qualità della musica, poi ascoltano le parole e da lì, tante volte, partono cammini meravigliosi.

Papa Francesco, nell’esortazione apostolica Gaudete et Exsultate ha ricordato che tutti, nella vita di ogni giorno, siamo chiamati a diventare santi. Ci pensi mai?
Ci penso tanto perché ci ho messo anni a capirlo. Quando mi dicevano “tutti siamo chiamati a diventare santi” non capivo come potesse essere possibile perché ero cresciuto immaginando i santi come persone distanti o esseri soprannaturali. Invece la vita mi ha dato l’opportunità di viaggiare tanto, di incontrare tanti santi dei nostri giorni, suore ma anche laici che profumano di santità e, attraverso questi esempi, ho cominciato a pensare che il Signore chiede anche a me di fare questo cammino verso la santità, che ci chiama tutti. Dobbiamo toglierci dalla testa l’idea che il santo sia una persona perfetta perché la perfezione non esiste nella nostra umanità, però ci può essere una volontà che è perfettamente indirizzata verso la santità, con la consapevolezza che se si cade bisogna rialzarsi perché siamo già stati amati.

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