Televisione

AMORE MIO, DICIAMO COS̅ Raiuno, sabato, ore 20,45. Dopo Gianni Morandi, anche Claudio Amendola è stato contagiato dalla febbre del sabato sera, l’influenza catodica che arriva in prossimità della domenica e che viene misurata da quello speciale (e discutibile) termometro che è l’audience. Certo, non si può dire che l’attore romano manchi di gusto per la sfida. Giocarsi la reputazione per darsi al varietà e battere un gigante della Tv come Gerry Scotti è stato un bell’azzardo. Una scommessa che però al momento è stata vinta solo in parte. Il nuovo programma del sabato sera si presenta infatti gioviale e accogliente. Sa essere sorridente e ospitale e anche abbastanza misurato (nonostante i balletti osé di Matilde Brandi). Ma poi a conti fatti “Amore mio” si mostra stiracchiato e discontinuo. L’idea di rendere elegante il varietà appaltandolo al mondo del cinema in verità non è male. Parlare di Mastroianni e della Dietrich invece che di gossip, intervistare la Deneuve piuttosto che l’ultima star del Bagaglino, innalza subito di una spanna il livello del programma. Poi però, a parte alcuni picchi, si perde tra monologhi banali e incomprensibili cadute di ritmo. E una parte di colpa ce l’ha anche l’attore prestato per sei settimane alla tv. Ad Amendola bisogna infatti dare atto di essersi buttato anima e corpo nel progetto. Si mostra grintoso e dà la sensazione di mettercela tutta per regalare una serata di sana evasione al telespettatore. Lo fa con onestà e con entusiasmo, cimentandosi anche con il ballo e il canto con i quali si espone inevitabilmente a brutte figure. Non è il coraggio a mancargli. Ciò che è assente è proprio l’emozione che viene spesso (anche a sproposito) evocata nelle parole, ma che raramente sfiora chi è a casa davanti al teleschermo. Non si capisce ad esempio a cosa si riferisca quell’amore citato nel titolo e per il resto quasi dimenticato per il corso della trasmissione. Parlarne in termini eleganti potrebbe essere un buon diversivo ai dilettanti allo sbaraglio della concorrenza. Ed invece, diciamo così, l’amore è il grande assente. E il dito rischia di scivolare furtivo sul telecomando per fare zapping. “NON C’È PROBLEMA” Un virus che non risparmia nessuno. Anche i migliori cadono nel tranello della parolaccia facile. Antonio Albanese è tra questi. Reso celebre da una galleria di personaggi portati al successo da “Mai dire gol”, è tornato adesso in tv su Raitre con una striscia che va in onda a giorni alterni. Non siamo sui livelli record di Boldi e De Sica vacanzieri sul Nilo dalla lingua biforcuta. Albanese è fatto di un’altra pasta: una mimica eccezionale, un’intelligenza rara ne fanno uno dei nostri comici più dotati, ma anche un apprezzabile attore drammatico nei film di Mazzacurati. Ha le qualità del numero uno, eppure a tarda notte anche lui cede troppo spesso alla scorciatoia dell’epiteto. Il suo Alex Drastico, siciliano verace dai modi spicci, è un cult assoluto. Ma se ogni tre parole scivola sulla parolaccia allora, come anche su La Repubblica gli è stato fatto notare, forse c’è qualcosa da rivedere. A dispetto del titolo, qualche problema c’è.

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