Stop a lavoro festivo e licenziamenti

Un primo sguardo al dibattito in corso dopo la proposta di legge, sostenuta dal governo pentaleghista, che rimuove il decreto Monti sull’apertura domenicale dei negozi
ANSA FRANCO SILVI

«Adesso non resta altro che fissare per legge l’orario della siesta!». Con la consueta verve polemica l’ex premier Matteo Renzi ha salutato ironicamente la proposta governativa di porre un freno alle aperture domenicali dei negozi. Anche le organizzazioni della grande distribuzione organizzata e la maggior parte della stampa ripetono la previsione della perdita di migliaia di posti di lavoro da questa scelta definita senza senso in una società secolarizzata («un ritorno all’età della pietra» secondo l’unione nazionale consumatori). Non avrebbe, infatti, senso legiferare in base alla bassa frequenza liturgica dei credenti, anche perché la formazione di molti di questi è molto pragmatica e non è disposta a fare battaglie di principio che sembrano già perse in partenza.

La Messa al supermarket

D’altra parte fa comodo andare a Messa e poi passare al supermarket, senza porsi alcuna domanda sulla libertà reale del lavoratore che sta alla cassa o tra i banchi. Che almeno una busta paga riesce a portare casa. Forse è anche viva una memoria antica dei paesini dove la dimensione del mercato era ridotta nel tempo feriale per concentrarsi la domenica mattina, giorno dell’agorà, tra discussioni politiche in piazza, Messa canonica e fiera settimanale. Oggi la domenica non esiste più nelle grandi città e come accade in alcuni centri commerciali, ad esempio all’Eur di Roma, grandi cartelli avvisano della messa domenicale interna alla struttura, come un servizio offerto tra gli altri. In generale, poi, molti dei tempi di lavoro attuali, trasporti inclusi, rendono difficile andare a fare la spesa durante la settimana.

Porre un limite al tempo di lavoro è stata una grande conquista laica. “Otto ore per dormire, otto per lavorare, otto per il tempo libero” è stato il mantra di un lungo percorso promosso dalle organizzazioni sindacali in epoche dove era inconcepibile non sottoporsi ad almeno 12 ore giornaliere sotto lo stretto controllo del “padrone”. Gente con poca istruzione è riuscita a conquistare diritti che i giovani odierni, magari con l’ultimo modello di cellulare in mano, rischiano di dimenticare.

Monti e il Salva Italia del 2011

La completa liberalizzazione degli orari per gli esercizi commerciali è molto recente, introdotta nel 2011 dal governo Monti con il decreto “Salva Italia” che ha favorito i colossi della gdo (grande distribuzione organizzata), contro il parere delle organizzazioni del piccolo commercio che non possono sostenere una tale concorrenza.

La scelta di procedere alla completa liberalizzazione delle aperture degli esercizi commerciali nei giorni festivi era stata preceduta da una serie di sondaggi commissionati dall’università Bocconi, diretta, prima dell’incarico governativo, dallo stesso professor Monti.

Un contributo dell’ufficio studi di Confcommercio del 2015 ha,invece, indicato  l’assoluta unicità della normativa liberalizzatrice italiana nel contesto europeo, con particolare riferimento a nazioni come Germania, Francia, Spagna e perfino Inghilterra, molto più restrittive in materia.

Il dossier del centro studi prende di mira la visione dogmatica del liberismo, sostenuta con particolare convinzione dall’Istituto Bruno Leoni, che è alla base dell’apertura indiscriminata dei negozi commerciali nei giorni di festa. Di contro, Confcommercio cita la presa di posizione dell’allora direttore generale della Banca D’Italia, Salvatore Rossi, secondo il quale «un mercato non sottoposto a regole e a controlli finisce per autosmantellarsi a causa della endemica tendenza dei soggetti che vi operano come venditori a ridurre la concorrenza o a collocare il mercato su traiettorie esplosive».

Ritorno all’età della pietra?

Ora che è stata presentata la proposta di legge, a firma della deputata leghista Saltamartini, che abolisce il regime del decreto Monti per consentire, nel corso dell’anno, l’apertura solo nelle domeniche di dicembre e in altre quattro domeniche da definire in accordo con gli enti locali, si è acceso uno scontro aperto che vede, in prima fila,  Federdistribuzioni (espressione delle catene della Gdo), e alcune associazioni di consumatori, contro la maggior parte dei sindacati e Confcommercio. Ma ciò che inquieta è l’annuncio di migliaia di licenziamenti previsti dalle organizzazioni datoriali. Ben 16 mila secondo Federdistribuzioni, 30 mila a detta del Pd e 50 mila in base alle previsioni della Conad.

 ANSA

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Secondo i sindacati, invece, l’occupazione non è cresciuta con il “salva Italia” ma ha solo permesso una gestione più spregiudicata del personale.  Com’è comprensibile, è difficile chiamare allo sciopero un commesso precario. E, infatti, è stato accolto da pochi impiegati alle vendite l’invito a rifiutare il lavoro nel giorno di Pasqua 2018 all’Outlet di Serravalle Scrivia ad Alessandria. Struttura emblematica del consumo di massa che vede il picco di presenze  proprio domenica e festivi.

Secondo la classifica di Business insider le maggiori attrazioni visitate in Italia, esclusa la basilica di San Pietro, dopo il Colosseo (7 milioni di turisti nel 2017),  sono i villaggi commerciali del gruppo McArthurGlen (5 milioni quelli attratti dall’outlet piemontese).

E nelle periferie disegnate senza centralità, come luoghi anonimi tendenti al degrado, l’unico luogo di socialità resta il centro commerciale. Tale mutazione delle abitudini di vita e di consumo, pur se consapevolmente indotte da scelte politiche che cadono dall’alto, è comunemente accettata come un dato di fatto.

La posizione dei cattolici

Anche nell’ultima Settimana sociale dei cattolici italiani dedicata, nell’ottobre 2017,  al “lavoro degno, creativo e giusto”, la richiesta di un tempo collettivo libero dal consumo, coincidente con la domenica, non è stata indicata tra le istanze principali, salvo poi emergere, dietro pressione dei tavoli di lavoro, nell’intervento finale del cardinal Bassetti teso a riaffermare che «senza la domenica non possiamo vivere» perché della domenica «ha bisogno anche la nostra società secolarizzata; ne ha bisogno la vita di ogni uomo, ne hanno bisogno le famiglie per ritrovare tempi e modalità per l’incontro, ne ha bisogno la qualità delle relazioni tra le persone. Del “lavoro che vogliamo” la domenica è parte costitutiva: perché, se quando manca il lavoro del lunedì non è mai pienamente domenica, anche quando manca la domenica il lavoro non riesce a essere davvero degno per nessuno».

Sta di fatto che non sono certo le organizzazioni cattoliche a promuovere proteste o campagne di disobbedienza al lavoro domenicale nei centri commerciali (da non confondersi con quello dei servizi essenziali) ma, talvolta, alcuni sindacati di base. Non si tratta della ragionevole refrattarietà ad inutili azioni “talebane” ma probabilmente l’intima mancata convinzione nel caso concreto.

commessa-castel-romano

A sostegno delle aperture domenicali è arrivata, infine, la presa di posizione di Pietro Ichino, giuslavorista molto apprezzato in certi ambienti moderati. Sull’autorevole sito economico lavoce.info, l’ex senatore pd (prima ancora scelta civica)  ha elencato ben 9 argomenti per tenere aperti i negozi la domenica e i giorni festivi ribadendo, tra l’altro, le ragioni del decreto Monti inteso a favorire, in tal modo «l’aumento globale dei consumi, che si traduce in aumento della domanda aggregata, quindi indirettamente ancora in aumento dell’occupazione».

Nella sostanza, secondo Ichino, in questa materia «non sono in gioco valori assoluti come la vita o la salute delle persone, e gli interessi meritevoli di tutela sono numerosi e non omogenei» e possono essere gestiti dalla contrattazione collettiva e individuale. Un ragionamento che presuppone, evidentemente, l’astratta libertà di un dipendente con un contratto a termine, o a chiamata, di poter rifiutare il lavoro domenicale e nei festivi.

Posti di lavoro, consumo e qualità della vita

Cerca di entrare nel merito Daniela Mori del consiglio di sorveglianza dell’Unicoop Firenze osservando che «l’andamento dei consumi delle famiglie negli ultimi anni non è certo cresciuto con le liberalizzazioni, così come non si sono registrati significativi incrementi dell’occupazione derivanti dalle aperture festive». Addirittura la rete dei discount Eurospin ha pubblicato a pagamento un messaggio pubblicitario sui quotidiani per esprimere il plauso alla chiusura domenicale dei negozi perché «ci sta a cuore la vita familiare dei nostri colleghi», attirandosi tuttavia feroci critiche su altre questioni come l’accusa al gruppo commerciale di favorire lo sfruttamento della filiera agricola con la pratica del sistema dell’asta al doppio ribasso.

La materia è, quindi, in movimento e subirà, probabilmente, delle variazioni. È necessario un confronto nel merito da approfondire, a partire dalla novità introdotta dall’incremento delle vendite a domicilio, ma anche per mettere in luce le diverse culture che emergono nella nostra società al di là di appartenenze partitiche ed ecclesiali.

Sull’argomento leggi anche: Negozi chiusi per restituire tempo agli affetti

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