Sotto corte marziale

Non è un film di guerra ordinario, composto dal susseguirsi di azioni belliche, ma un lavoro ad impianto piuttosto teatrale, ambientato in uno dei campi tedeschi per prigionieri americani della seconda guerra mondiale. È stato sospettato, non del tutto a ragione, di voler sfruttare il desiderio di esaltazione militare, fiorito negli Stati Uniti dopo l’11 settembre. Bisogna, però, riconoscere che esso ha per oggetto non tanto l’eroica lotta al nemico del mondo di allora, il nazismo, quanto il vergognoso contrasto interno causato dall’intolleranza razzista relativa ai soldati di colore. Uno di questi viene ingiustamente accusato di omicidio e sottoposto a un breve processo condotto secondo il codice della corte marziale, che offre al regista l’occasione per analizzare lo scontro dei pregiudizi. La grave questione si risolve grazie alla generosità estrema di tre militari, che alternativamente si dichiarano colpevoli, offrendosi alla ferocia dei nazisti, che assistono divertiti e implacabili. Sotto corte marziale ha il pregio di portarci senz’altro nella dimensione psicologica, dove gli eventi non mancano, ma sono soprattutto interiori. Contribuiscono a ottenere questo risultato la scenografia austera e l’uso sapiente dei colori, che hanno una tonalità dominante grigio-marrone, confacente alla serietà del dramma. Le buone interpretazioni di Bruce Willis e del giovane Colin Farrel, tutte affidate agli sguardi e alle mimiche facciali, rappresentano in modo convincente i sensi di colpa e i turbamenti di quegli uomini in divisa. Si penetra progressivamente nella parte più interna della coscienza, in quel luogo dove vengono prese le decisioni estreme: quelle che, superando il tornaconto personale, sono mosse dalla volontà di aiutare i compagni. Se accettiamo che questi personaggi diventino capaci di tali atti di eroismo, possiamo riconoscere anche che si tratta di eroismo vero, non frutto di esaltazione o di esasperazione. Regia di Gregory Hoblit; con Bruce Willis, Colin Farrell.

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