Sono i figli che generano i padri

Umberto Ambrosoli

Un padre illustre scrive una lettera aperta al figlio esortandolo a cercare il proprio futuro fuori dall’Italia, terra senza speranze. Sui giornali prende vita una discussione stimolante ma prigioniera di un vizio di forma, che porta a leggere la storia come un processo lineare. I padri creano le condizioni materiali e morali per i figli, orientano il loro futuro, li accompagnano fino a che saranno in grado di fare altrettanto. Quando il meccanismo ci inceppa, i padri alzano bandiera bianca e lasciano ai figli il fardello del loro futuro. Così va il mondo.

 

Non sono i padri a generare i figli ma i figli che generano i propri padri. Se provassimo a cambiare in questo modo il nostro punto di osservazione, saremmo in grado di ascoltare la voce di una generazione che per anni è rimasta in silenzio e che oggi ha cominciato a parlare. Figli impegnati a crescere tra molte ferite, sopraffatti dal peso di un cognome e una memoria dolorosa, oggi hanno trovato le parole per interrogarsi e capire il nostro comune passato. Mario Calabresi, che ha affidato la storia di suo padre al racconto toccante di Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo, 2007; Umberto Ambrosoli, che ha ricostruito l’intenso impegno umano e civile del padre in Qualunque cosa succeda. Storia di un uomo libero, 2009; Benedetta Tobagi, che ha fatto rivivere il padre in un libro intenso e di alto spessore letterario Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre, 2009; e Marco Alessandrini, Sabina Rossa e molti altri.

 

Erano bambini. Oggi hanno l’età nella quale i loro padri sono caduti per mano violenta. Il loro ricordo è sfumato ma intenso, non hanno pudori nel ricercare frammenti di vita nella memoria. Mario strappa all’oblio l’immagine di un abbraccio in mezzo a una folla. Benedetta ritrova una registrazione affettuosa del padre: un minuto e cinquantaquattro secondi che valgono una vita. L’amore per la verità si coniuga in loro con la passione civile, l’attenzione ai fatti si contrappone alla banalità del male. Si compone così un racconto corale che ci consente di comprendere quel male e di trovare la via per allontanarcene, definitivamente.

«Lo immagino così un buon padre – scrive Benedetta – una persona che ti sostiene, ti protegge e ti sollecita, amorevole, affinché trovi il coraggio di tirare fuori la tua voce». Così, orfani e figli minori diventano fratelli maggiori, custodi della memoria e varco per il futuro. Così, padri cui non è stato concesso di crescere i figli continuano ad educarci ai valori più profondi attraverso di loro.

Così va il mondo! Per questo ogni volta rinasce.

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