Solo una bomba ci salverà? I vescovi italiani e l’appello dei cattolici sul bando alle armi nucleari

I vescovi italiani condividono l’appello di associazioni e movimenti cattolici per la messa al bando delle armi nucleari. Una posizione controcorrente da prendere sul serio in un momento di forte riarmo segnato dalla tragedia della guerra in Ucraina. La storia ignorata del 1962 e la profezia di Thomas Merton
Bando armi nucleari . foto La Presse

L’assemblea generale dei vescovi italiani, che ha portato alla presidenza del cardinale di Bologna Matteo Zuppi, si è conclusa con un comunicato che contiene, tra l’altro la condivisione dell’appello Per una Repubblica libera dalle armi nucleari” firmato, dal 25 aprile al 2 giugno del 2021 «da oltre 40 presidenti nazionali di associazioni cattoliche che più volte si sono espresse in merito alle armi nucleari e all’adesione del trattato ONU, che l’Italia non ha ancora ratificato».

La riflessione sulla guerra si è allargata alla situazione dei profughi e dei migranti con la denuncia della «tragedia dei lager di detenzione, luoghi di morte e sopraffazione» per affermare «l’urgenza di attuare politiche migratorie adeguate, rispettose della dignità umana».

Guerra e migrazioni sono due questioni aperte estremamente “divisive” che i cristiani non possono ignorare senza perdere il senso stesso della loro esistenza nel mondo. E la vera sfida riguarda la capacità di incidere sulle scelte politiche del proprio Paese con piena autonomia e responsabilità laicale, senza delegare ai vescovi un ruolo diverso da quello di offrire un criterio sapienziale nella lettura dei segni dei tempi.

E quel documento sul bando alle armi nucleari di movimenti e associazioni è stato lanciato nel 2021 nella festa della Repubblica che in questo anno è venuto a cadere alla vigilia dei 100 giorni dall’inizio della guerra in Ucraina. Cioè nel cuore dell’Europa che, come abbiamo visto, esporta grano in mezzo mondo ed è ora al centro di quel movimento drammatico della storia che porta a ribaltare l’imperativo «di svuotare gli arsenali e riempire i granai» espresso, a suo tempo, dal “partigiano” Sandro Pertini salito sul colle del Quirinale come garante della Repubblica che “ripudia la guerra”.

Se nel 2021 la guerra nucleare poteva sembrare, per molti, una remota possibilità, ora sappiamo che la prospettiva dell’uso dell’arma micidiale, in grado di eliminare migliaia di volte l’umanità dalla faccia della Terra, è una tragica realtà.

Anche la commissione Esteri della Camera ha votato una mozione che invita il governo ad attivare «percorsi concreti di disarmo nucleare e di avvicinamento ai contenuti del Trattato di proibizione delle armi nucleari» che l’Italia, per dirla esattamente, non solo non ha ratificato ma attivamente boicottato non partecipando, neanche come Paese osservatore, alla conferenza Onu che ha votato quel trattato.

Le motivazioni di questa scelta, come esplicitato da fonti ufficiali, sono diretta conseguenza della nostra adesione alla NATO. Si comprende perciò perché la necessita di arrivare ad eliminare l’arma nucleare nel mondo non può essere una semplice dichiarazione retorica ma comporta la necessità di discutere come stare dentro l’Alleanza atlantica guidata dagli Stati Uniti.

La mozione votata dalla commissione Esteri della Camera porta a seguire l’esempio di altri Paesi NATO come Germania e Norvegia che hanno deciso di partecipare come “osservatori” alla prima Conferenza degli Stati Parti del Trattato di proibizione delle armi nucleari (TPNW) che si svolgerà a Vienna dal 21 al 23 giugno.

In molti dimenticano che nello scontro tra Russia e Stati Uniti che portò, nel 1962, ad un passo dalla guerra nucleare per la presenza di bombe nucleari nella Cuba di Fidel Castro, il governo italiano di quel tempo svolse, insieme alla diplomazia vaticana di Giovanni XXIII, un compito importante per giungere ad un credibile accordo di distensione.

Non solo l’isola caraibica in mani ai “barbudos” non diventò una rampa di lancio di armi atomiche ma furono rimosse installazioni utilizzabili dai missili Jupiter anche in Turchia e in Italia, tra Puglia e Basilicata. Parliamo, secondo le fonti, di dieci località che è bene ricordare: Acquaviva delle Fonti, Altamura, Gioia del Colle e Gravina in Puglia, Laterza, Mottola e Spinazzola in Puglia; Irsina e Matera in Basilicata.

Quel precedente storico costituisce la base per riflettere, oggi, sul nostro territorio nazionale usato come struttura logistica della guerra mondiale a pezzi che prevede la presenza, tra l’altro, di decine di bombe nucleari nelle basi militari di Ghedi, a Brescia, e Aviano, a Pordenone.

Bisogna riconoscere che nello scenario odierno, contraddistinto da una generale corsa agli armamenti, il possesso o comunque la copertura dell’arma nucleare viene implicitamente propagandata e accettata come garanzia di sicurezza invece che come causa di una gravissima instabilità dovuta ad una pluralità di detentori di strumenti di distruzione di massa pronti ad essere innescati in qualsiasi momento mentre l’opinione pubblica è continuamente distratta da altro.

In questi giorni si rivela sempre più attuale la visione del monaco trappista Thomas Merton, figura di riferimento nel movimento per la pace negli anni 60, che invitava a cogliere il passaggio epocale avvenuto con l’era nucleare post Hiroshima. Merton parlava di una fede nella “bomba” che ha preso il posto di Dio nella «spaventosa vacuità della mentalità di massa, senza morale, senza identità, senza compassione, che rapidamente ritorna alla barbarie e alla superstizione cedendo all’idolatrica venerazione della macchina».

“Nell’ora più buia” della necessità della guerra, l’uso dell’arma più estrema può apparire “provvidenziale”. Come scrive, infatti, Winston Churchill nelle sue memorie per giustificare l’uso dell’arma atomica, nel 1945 era quasi impossibile pensare di poter domare la resistenza dell’esercito giapponese ormai sconfitto, se non al prezzo di un milione di morti da parte alleata. Ma con l’uso dell’atomica questo “quadro da incubo era svanito” perché “eravamo entrati di colpo in possesso di un mezzo provvidenziale per abbreviare il macello”. La bomba doveva essere per gli stessi giapponesi come «un’arma quasi soprannaturale, una scusa per salvare il loro onore e liberarli dall’obbligo di farsi uccidere fino all’ultimo uomo».

Ecco alcune ragioni per dare un seguito ragionato all’adesione dei vescovi italiani all’appello laico e niente affatto retorico lanciato da associazioni e movimenti cattolici per una Repubblica che ripudia la guerra.

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