Sirene d’estate

Ebbene sì: è un’altra estate di birre, cornetti e cellulari, di infiniti concertoni a prezzi spropositati (ma in qualche modo le star dovranno pur far quadrare i conti visto che i dischi non si vendono più, non vi pare?); dai mega- raduni tipo quello in occasione del G8, fino alla carovana del Festivalbar, passando per migliaia di microfestival vacanzieri d’alto profilo e concertini strapaesani zeppi di reduci più o meno incontinenti. Nulla di nuovo dunque sotto il sole d’occidente. Se si eccettua una piccola variazione di tendenza: in questa nuova estate le donne del music-business sembrano sempre più lontane dai canoni volgarotti e pruriginosi del passato. Intendiamoci: di sculettatrici dall’ugola incerta in giro se ne trovano sempre, ma ora sono l’eccezione e non più la regola del pop balneare. Se pensiamo che negli anni Ottanta le classifiche erano intasate di fotomodelle bioniche che prestavano il corpo alle voci di coriste sconosciute… beh, qualche passo avanti s’è pur fatto. Per esempio, una delle più serie accreditate a firmare il tormentone dell’estateè una fanciulla che richiama da un lato la raffinatezza compositiva di Carole King e Ricky Lee Jones, e dall’altro la leggiadria pop di Natalie Merchant e dei migliori Fleetwood Mac. La giovane KT Turnstall ha sangue cinese e cuore scozzese, galoppa forte col suo intrigante singolo Black horse and the cherry tree, ma tutto l’album di debutto Eye to the telescope (Virgin) evidenzia notevoli doti autorali e interpretative. Ma i nomi da tener d’occhio sono tanti. A cominciare dal notevole ritorno della virginiana Aimee Mann, il cui recente settimo album, The forgotten arm (V2) ha quasi le sembianze di un romanzo on the road. L’ottima produzione di Joe Henry ha impreziosito il suo folk-rock d’autore con spezie pop che a tratti evocano l’eleganza di una Joni Mitchell. Meno ambiziosa e più minimalista nell’approccio è invece la giovane londinese Bird che nel suo The insides (Cream) lascia intuire potenzialità espressive più che promettenti, così come fa piacere ritrovare la talentuosa Tanita Tikaram, di nuovo sui mercati col raffinato e crepuscolare Sentimental (Naive). Cambiamo genere. Tra gli infiniti modi di coniugare all’occidentale le proprie radici terzomondiali, val la pena segnalare quello di Angunn, graziosa indonesiana esplosa nel ’97 con Snow on the Sahara e riapparsa dopo un lungo silenzio con, Luminescence, e quello della giovane lusitana Lura, che nel suo splendido Di korpu ku alma (Edel) dà sfogo e lustro alle sue radici capoverdiane cimentandosi con la morna e altre meraviglie esotiche con una classe e una passionalità che portano subito alla mente e alleorecchie la grande Cesaria Evora. Ma anche nell’Italietta nostra è possibile trovare del buono o quasi. Oltre ai discreti ritorni di Irene Grandi, di Giorgia, di Syria e della sottovalutata Andrea Mirò, cito la poco più che ventenne L’Aura, che ha debuttato con un dischetto furbo, moderno e cosmopolita: se saprà affinare la propria personalità ha tutti i numeri per lasciare tracce più significative. In tempi di marosi come questi, sembrerebbe galleggiare meglio chi ha qualcosa da dire sul serio. Tempi duri invece per certe sciocchezzuole da disco-bar tipo Aserejè delle ormai triturate Las Ketchup, così come per buona parte delle sexi-eroine del pop patinato (Maria Carey, Jennifer Lopez, e Destiny Childs, tanto per non far nomi) i cui ultimi strombazzatissimi album sono stati snobbati da critica e pubblico. E non troppo meglio sta andando anche a talenti troppo sopravvalutati come la Imbruglia e la Morrissette. Oggi l’industria della canzone pretende di più e di meglio, anche e soprattutto dalle donne. Ci vanno coraggio e determinazione doppi che in passato. Non a caso il personaggio di cui meglio si parla in prospettiva futura è una canadesina chiamata Madeleine Peyroux. A giudicare da quel che si sente nel suo Careless Love (Universal) ha tutto ciò che serve per diventare una star planetaria: senza rifarsi né a al sensazionalismo di Madonna né al lolitismo delle varie Britney Spears: ma a una antieroina dolente e leggendaria come Billie Holiday.

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