Saper perdere

Si può parlare di "notte della vita consacrata"? E in che senso? Quali ne sono le manifestazioni? E dove condurrebbe?
Saper perdere

Le domande si moltiplicano, forse anche perché siamo nel tempo dell’oscurità, dove l’insidia può avvantaggiare il discorso dell’esperienza soggettiva sulle scelte di fede e dove il privato o lo strettamente personale si afferma sempre più sul comunitario ed ecclesiale. È un dato antropologico che oggi sembra divenire un fenomeno universale dominante.

Non credo sia possibile parlare del cammino di questi ultimi decenni come “notte oscura”. Nel caso, sarebbe ardito pronunciarsi. Per due motivi: perché siamo totalmente immersi nel processo in corso di trasformazione dell’umanità e di rinnovamento della vita della Chiesa, e perché è un compito delle generazioni future formulare una valutazione.

Possiamo solo fare memoria di come vivere la sequela in questa situazione inedita e in tutte le situazioni personali, comunitarie, sociali ed ecclesiali. L’uomo nuovo è chiamato, infatti, a vivere il mistero pasquale da uomo nuovo, cioè, nel dono di sé, mosso dalla passione che ha animato Cristo Gesù, divenuta nostra per partecipazione, da figli nel Figlio.

Preferisco pertanto colloquiare con il lettore, offrire allo scambio alcune riflessioni, maturate in questi anni, e ravvivare alcune realtà, quali premesse per entrare e vivere nel mistero. 

Essere Corpo di Cristo 

La prima di queste è la realtà dell’essere Corpo di Cristo. Due gli aspetti da aver presenti. Il primo aspetto: se siamo Corpo, l’agire è sempre di una unità vivente, dinamica, in continua crescita fino alla sua pienezza. Anche quando una persona agisce da sola, lo fa sempre come parte di un tutto e le sue scelte incidono sull’intero Corpo.

Per questo, ad esempio, la notte dei sensi e dello spirito di san Giovanni della Croce è un’esperienza personale e, nello stesso tempo, immette sapienza, luce, unità, comunione nel circuito della vita del Corpo.

È un’esperienza che purifica e crea condizioni specifiche perché la Chiesa, nel momento storico che vive l’umanità, maturi ulteriormente, perseguendo nuove mete verso la piena realizzazione del disegno di Dio.

La Chiesa, in tal modo, per opera dello Spirito si ritrova “meglio attrezzata per ogni opera buona”; non per un apporto esterno, bensì in forza dell’unità dinamica del Corpo stesso. Essa quindi cresce dal di dentro grazie al dono comunicato da Cristo, il Suo Signore, in uno dei suoi figli.

San Giovanni della Croce, pertanto, non è un modello esterno da imitare, ma è uno di noi, un membro dell’unico Corpo, la parte di noi che esercita una funzione carismatica a beneficio dell’unità, della santità e della missione della Chiesa. 

Vivere in Cristo 

Un secondo aspetto va evidenziato: è vivendo in Cristo – stando con Lui (Mc 3, 13) – quali membra del suo Corpo, che avviene la crescita nella perfezione della carità e nella passione apostolica. La maturazione porta a divenire sempre più conformi a Lui, “il consacrato del Padre inviato in missione” (VC 76). Un membro, quindi, dovrà esprimere, per il dono dello Spirito, da figlio nel Figlio, i tratti costitutivi tale identità e sviluppare il sentire che è proprio del Capo e del Corpo, cioè di Christus totus e della Trinità.

È un cammino che conduce a essere pienamente se stessi nell’identificazione a Cristo Crocifisso-Risorto, Signore e Servus, e ad operare in novità di vita secondo le leggi dell’amore, partecipi della creatività di Dio e cooperatori di Cristo nell’opera di salvezza.

Quando si smarrisce la prospettiva del “mandato” (Gv 20, 21), che è la prospettiva dell’Amore, viene meno il senso stesso della vita, s’annebbia la motivazione dell’Incarnazione e quale sia il vero progetto per risanare l’umanità: fare che viva ed esprima le sue immense risorse con la genialità propria delle culture, dei singoli, della Sposa.

Si creano “idoli” (il vitello d’oro) quali salvatori più credibili e affascinanti. La storia continua a registrarne sempre di nuovi, in tutti i campi dove abita l’uomo, e con dolore, perché l’uomo non sembra aver ancora appreso che gli idoli hanno occhi che non vedono, orecchie che non odono, un cuore senza palpiti. Sono fattura della fragilità e inganno del maligno.

In questo cammino complesso, di purificazione e di comunione, si esprime l’azione misteriosa dell’amore di Dio che avvolge l’uomo nella sua libertà e lo plasma, quale cittadino del Regno del Figlio Suo (cf. Col 1,10; Fil 1, 27 ).

La “notte” non è mai un fatto individuale, che riguarda unicamente la persona chiamata e “quella” persona considerata privilegiata. È un evento Chiesa e un evento umanità: un evento di salvezza integrale, cosmica, escatologica.

Sono realtà che non di rado, nella nostra attuale situazione di cambio epocale, rischiano di essere relegate tra le astrazioni spirituali e le utopie ingenue da cui allontanarsi psicologicamente e culturalmente. Qui sta uno dei segni della crisi in atto e della forza dei condizionamenti sociali che si registra anche nella vita consacrata.

Essa, invece, in questa situazione dovrebbe esprimere la carica profetica della Chiesa, insita nel suo essere, quale “memoria vivente” di Cristo (VC 22) e camminare innanzi per prima, come Maria.

Non è ciò che il Risorto sta compiendo, mentre si rivolge alle persone e alle istituzioni di vita consacrata, così come ha fatto con le Chiese? “Così parla l’Amen, il testimone fedele e verace… Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e coprire la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista… Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3, 14.18.20). 

Una nuova fioritura 

Riportandoci alle fonti della vita evangelica e alle sorgenti carismatiche, lo Spirito non fa un’operazione di purificazione per far riemergere un passato pur glorioso. Egli crea realtà nuove di sequela di Cristo vergine, povero, obbediente, che parlino all’uomo di oggi, che testimonino la presenza del Risorto, che assumano i cammini dell’umanità sofferente e che siano lievito evangelico e luce nel Popolo di Dio e nell’umanità.

È una nuova fioritura del giardino della Chiesa, splendido per la varietà dei carismi in comunione e dalla bellezza del volto solcato dai segni del dolore assunto e trasformato in amore fecondo.

Per cercare di entrare correttamente nel mistero della “notte”della vita consacrata abbiamo bisogno di distinguere.

La “notte” può essere intesa come crisi globale a livello di progetti politici, educativi, sociali; a livello, inoltre, delle relazioni, delle strutture, delle risorse in persone e mezzi per la mancanza di vocazioni; a livello di conseguenza delle opere (chiusure e ridimensionamenti) e anche a livello della diversa “geografia” degli Istituti nati in Occidente la cui leadership è affidata a religiosi e religiose provenienti dal Sud del mondo.

In questa situazione, per molti il riferimento comparativo dell’oggi è con la condizione precedente della società, delle comunità ecclesiali e religiose, ritenuta più armoniosa, organizzata, gestibile e feconda.

Con il termine “notte” si vuole ugualmente mettere in evidenza che lo stato di malessere, di precarietà, di incertezza esistenziale è la conseguenza della perdita dei valori caratterizzanti la propria identità personale e culturale, la perdita dei punti di riferimento che danno significato, direzione, dinamismo, motivazione alla vita.

Un passaggio epocale porta con sé questa esperienza che ha uno spessore diverso a seconda dei fattori scatenanti, delle aree di incidenza e della sua estensione nello spazio e nel tempo. L’influsso enorme dei cambiamenti attuali, per la loro complessità e rapidità, continua a generare profondi smarrimenti, inquietudine, conflitti generazionali e solitudini. Nessuno ne è esente.

Lo smarrimento cresce quando si prende coscienza che le trasformazioni raggiungono le radici stesse dell’uomo, riguardano tutte le regioni del vivere e del pensare, hanno il potere di alterare la scala dei valori fondamentali e di generare nuove forme di dipendenza o di “colonialismo globale”: economico, politico, culturale, se non religioso, attraverso la promozione del soggettivismo spirituale e morale.

La persona umana tuttavia ha energie sorprendenti, umane, spirituali, di libertà e di amore, e sa reagire e costruire. Vi sono dei gemiti che annunciano una vita nuova che nasce e racchiudono un appello coinvolgente.

Le descrizioni offerteci in questi anni testimoniano la sofferenza dell’uomo e lo scardinamento delle tradizioni e delle convinzioni di fede e di valore.

Il fenomeno, ampiamente descritto in questi anni, riguarda anche la vita religiosa e gli Istituti, al punto che già Giovanni Paolo II annotava: “I mutamenti in corso nella società e la diminuzione del numero delle vocazioni stanno pesando sulla vita consacrata in alcune regioni del mondo. Le opere apostoliche di molti Istituti e la loro stessa presenza in certe Chiese locali sono poste a repentaglio. Come è già accaduto altre volte nella storia, vi sono persino Istituti che corrono il rischio di scomparire” (VC 63).

Allo stesso tempo egli avvertiva: “La perenne giovinezza della Chiesa continua a manifestarsi anche oggi… Lo Spirito, che in tempi diversi ha suscitato numerose forme di vita consacrata, non cessa di assistere la Chiesa, sia alimentando negli Istituti già esistenti l’impegno del rinnovamento nella fedeltà al carisma originario, sia distribuendo nuovi carismi a uomini e donne del nostro tempo, perché diano vita a istituzioni rispondenti alle sfide di oggi”(VC 12.62).

In questa tipologia della “notte” emerge soprattutto l’azione dell’uomo, il quale ne è all’origine e che sviluppa quei meccanismi di difesa che intendono salvaguardare la propria integrità psicologica, culturale e spirituale.

Vengono presentati come fattori di sicurezza, di civiltà o di fedeltà, alterando a volte la stessa semantica, e quindi, accrescendo l’incomunicabilità: non ci si comprende più; i linguaggi e i codici interpretativi sono profondamente diversi, i modelli di comportamento sociale distanti.

La Chiesa e la vita religiosa stanno vivendo nelle proprie carni questo passaggio epocale, navigano cioè nel “vasto oceano” (NMI 58) della storia attuale dell’umanità dove convivono ricchezze e drammi immensi, potenzialità stupende e fattori di alienazione raffinata e violenta, contraddizioni soffocate nelle acque dell’indifferenza e degli individualismi personali e sociali, espressioni sorprendenti del genio umano e incapacità di tradurre il dettato politico o religioso in opere di solidarietà, di pace e di giustizia.

Sono realtà inedite, anche se alla radice vi è sempre il cuore umano che combatte tra la luce e le tenebre. 

La notte di Dio 

Vi è infine una notte totalmente diversa e nuova, nella quale l’agente principale è Dio e non l’uomo. Non sorprenda e non sembri che guardare a essa sia un modo di fuggire dalla situazione e addossare ad altri le proprie responsabilità. Queste divengono ancora più grandi, perché siamo chiamati a collaborare con Dio in questo suo operare misterioso e scarnificante.

Nessuno infatti conosce in che modo la Trinità stia portando a compimento il disegno di salvezza in questa fase della storia umana e quale sia la “lotta di Giacobbe” (cf. Gen 32, 23-31) che oggi la Chiesa, quale famiglia di Dio, sta affrontando.

Il “guado” dell’incontro misterioso non lo scegliamo noi, anche se è riportato nel disegno del cammino che abbiamo tracciato per raggiungere scopi indicati dal nostro cuore, dalla nostra esperienza, dal nostro zelo, e siamo motivati dai bisogni di rinnovamento e dalle sfide dell’evangelizzazione.

La grande scuola di formazione del Popolo di Dio, delle persone consacrate prima di tutto, ad opera dello Spirito e di Maria, avviene in un’aula costruita con pietre viventi: l’umanità di oggi; “La storia del mondo di oggi che s’incarna nell’esistenza concreta di ogni uomo, diviene libro aperto alla meditazione appassionata della Chiesa e di tutti i cristiani. Essa si traduce infatti in una sfida che raggiunge tutte le vocazioni nella Chiesa, provocandole ad una esigente revisione di vita e d’impegno” (Religiosi e Promozione umana, 15; cf. RH 14).

C’è bisogno di silenzio nel profondo di noi stessi e di quel silenzio che è dono e che nasce dal vivere, qui e ora, la beatitudine della povertà in spirito, cioè il “nulla di noi per amore” che apre all’ascolto, conduce alla scoperta, per una sorta di “istinto soprannaturale” (VC 94), dei segni della presenza del Risorto e dell’operare della Trinità Santissima.

La “notte”, personale e collettiva, è il grembo in cui la vita cresce, l’essere diviene solo amore nel crogiuolo del mistero pasquale, la vita di ciascuno e di tutti trova la sua libertà ricapitolata in Cristo, la Sposa raggiunge quel livello di unità, santità, bellezza, di maturità umano-divina da essere Parola vivente che annuncia Cristo e lo offre al mondo della globalizzazione e delle povertà sociali e interiori, desolato e assettato di pace e di verità.

La seminagione per opera dello Spirito di carismi di vita consacrata e di carismi laicali non è per ravvivare un vissuto storico, fuori dall’oggi che pur ha generato. Essi sono la risposta della Trinità ai gemiti dell’uomo contemporaneo e contengono un messaggio per tutti.

Dall’esperienza continua degli sforzi che le Famiglie religiose hanno compiuto e continuano a sviluppare, sarei portato a dire che oggi è in atto un’azione particolare dello Spirito.

Ho incontrato religiosi e religiose uomini e donne di Dio. Si prega. La generosità e l’amore per la propria Famiglia religiosa e per il prossimo è sul volto dei consacrati e delle consacrate che in tarda età portano avanti opere, con immensi sacrifici e nella gioia.

Il martirio del sangue e il martirio della carità continua a costituire una gemma preziosa che adorna la Sposa ed è sorgente di vita.

Crescono le iniziative di collaborazione tra Istituti, ecc. Il secolarismo e l’individualismo contagiano le nostre comunità e gli stili di servizio, ma non impediscono allo Spirito di creare cose nuove, di ravvivare con la forza del Vangelo gli Istituti, le persone (cf. VC 6 e 12), di alimentare esigenze di vita autentica, semplice e gioiosa, di affinare l’udito del cuore che ripete “Ecco manda me!”.

La fedeltà creativa non è un’utopia, perché nasce dalla contemplazione del Cristo crocifisso e dal suo grido di abbandono che sgorga dal cuore dei popoli schiacciati e violentati dagli egoismi di altri uomini e da organizzazioni accecate dal profitto e dal potere. 

Verso un mondo unito 

Un mondo che tende alla fraternità universale e all’unità, ha bisogno di una Chiesa che vive dell’unità chiesta da Gesù al Padre, e di uomini e donne testimoni e artefici di unità, di solidarietà, di comunione secondo il Vangelo. Questa è forse l’operazione dello Spirito?

La vittoria dell’uomo nella notte della lotta è lasciarsi vincere da Dio, credere in Lui, lasciarsi spogliare di tutto – padre, madre, fratelli, sorelle, campi…- e, nato a nuova vita, voler percorrere solo le strade tracciate dal Padre e che Cristo ci rivela nella prova del deserto e del Golgota: “Il tuo disegno d’amore è il mio disegno”.

Molti crolli non sono dovuti alla disgregazione o a deboli fondamenta. La Sposa ha saputo affrontare con coraggio, creatività e sapienza i secoli. Sono il segno di una realtà umano-divina che sta crescendo e che, guidata dallo Spirito, depone gli abiti e gli stili delle altre stagioni della vita i quali non rivelano più il Vangelo all’uomo contemporaneo.

L’invito di Paolo a “non rattristare lo Spirito” (Ef 4, 30) ci spinge al discernimento, rivestito del frutto della sua azione (cf. Gal 5, 2). Il discernimento è un’arte. Esperti in essa, si può con maggiore facilità superare il rischio di utilizzare i nuovi doni, la sapienza e le conquiste della scienza, per conservare, sentendosi aggiornati e contemporanei, ciò che invece deve, morendo, trasformarsi.

Ogni nuova tappa della vita inizia dal “saper perdere” evangelico, cioè dalla beatitudine della povertà in spirito. Insieme, uniti nella comunione fraterna, si entra nella nuova stagione della storia che Giovanni Paolo II non ha esitato a definire “primavera” (RM 86) e, ancor prima, Paolo VI chiamava l’ora attuale della Chiesa “tempo privilegiato dello Spirito” (EN 75), implorando da Dio una nuova Pentecoste.

La Sposa non fa proseliti, non raggruppa attorno a un leader generazioni di uomini e di donne per mostrare ad altri la sua potenza, il suo valore, le sue opere a beneficio del povero. La Sposa, rivestita della Parola e divenuta Amore, offre Cristo, il Salvatore e Signore, perché ciascuno divenga se stesso e l’umanità riacquisti la bellezza della verità che rende liberi e dell’amore dagli infiniti volti.

Lo fa dando se stessa, aprendo il suo cuore, dialogando con tutti, valorizzando e promuovendo la persona umana, prendendo su di sé ogni dolore, vincendo il male con la forza dell’amore. Questa è la notte, dal carattere pasquale, nella quale, “sotto il soffio dello Spirito Santo” (PC 1), sta sbocciando la vita religiosa del terzo millennio.

È in questa notte che fiorisce una vita consacrata che si fa “memoria vivente”, limpida e immacolata, di Cristo, la Luce e la Vita per le generazioni di oggi e future. E molti, da Lui chiamati, saranno dallo Spirito “aggregati” alle Famiglie dei fondatori e scopriranno la propria vocazione nella Chiesa comunione e missione, “Corpo vivente di Cristo che dà testimonianza” (MR 20).

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