Sanremo 2018: verso il gran finale

Il 68° Festival della Canzone Italiana procede, e sotto l’egida baglioniana veleggia piuttosto felicemente verso l’attracco finale. I dati d’ascolto continuano a confermarne la tenuta (ieri quasi 11 milioni, meglio dell’anno scorso). Unica pecca plateale, l’eccessiva lunghezza

Il divin Claudio va slegandosi, la Hunziker continua a sguazzare come una paperella nel suo brodo, ma la vera sorpresa è Favino che sul palco dell’Ariston sta mostrando insospettate doti da entertainer di razza.

Per il resto, tutto secondo copione: canzoni così così, tranne qualche lampo qua e là capace di regalare qualche brivido (ieri sera per esempio Poster nell’intenso confronto d’ugole fra Baglioni e Sangiorgi), e poi pubblicità d’ogni sorta, i soliti ospiti stranieri a dar lustro e credibilità alle pietanze nostrane. Il Festivalone nostro veleggia placido verso il traguardo dando un po’ di respiro a un’azienda, e a un Paese, che di problemi ne ha un bel po’, e proprio per questo ha un bisogno quasi fisiologico di prender fiato immergendosi annualmente in questo Barnum dell’effimero che da quasi settant’anni ci intrattiene.

Il dato che a me pare inconfutabile ricorda certe discussioni correnti sulla Serie A calcistica: venti campioni sono davvero troppi; tanto più che qui di campioni se ne son visti proprio pochini, o per lo meno, molti sono scesi in campo in forma non proprio smagliante. Così eccoci alle prese con un ennesimo Festival troppo lungo e onnivoro. Dal quale però è difficile scampare, anche fuori dalle sue liturgie serali. Sicché lui tutto si mangia e tutto metabolizza in queste ore: le beghe preelettorali e le Olimpiadi invernali, i disastri della cronaca e i problemi sociali.

Il guaio è che nel gaio ecosistema sanremese tutto fa brodo e audience, tutto è semplificato, banalizzato, diluito o compresso e poi triturato dalle betoniere dello show-business. Fa parte del gioco – secondo alcuni delle strategie – per tenerci buoni e/o rassicurarci e/o distrarci in tempi difficili. Il panem et circenses di Giovenale funziona del resto da duemila anni; se non altro, questi trucchetti demagogici  non rappresentano poi chissà che dramma, in confronto a quelli veri che ci germogliano intorno.

Che altro aggiungere che non evapori nell’esatto momento in cui accade o si scrive? Del ripescaggio dell’accoppiata Meta-Moro? Delle mise della Michelle-ridens o della scollatura di Noemi? Della canonizzazione di Baudo o dei duetti d’ogni foggia che trapuntano le scalette di quest’anno? Ma facciamoci il piacere. Il fatto è che in queste serate il pepe è quasi sempre arrivato “da fuori”: che sia quello di Fiorello o della Raffaele, di Sting o di James Taylor; e nel grigiore generale finisce per fare un figurone chi, come gli allegri guasconi de Lo Stato Sociale, scodella una canzonetta che pare una taroccata fra Rino Gaetano e Vasco, o chi, come Gazzè, ha il coraggio di prendere le distanze dai cliché.

Stasera il primo verdetto, quello relativo alla “nuove proposte”. Con la Nannini e Pelù fra gli ospiti, e duetti a go-go. Si preannuncia una nuova razione di tisana generosamente compresa nel canone.

 

 

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