Sangue pazzo

Marco Tullio Giordana, come presentò la meglio gioventù non limitandosi a mostrarne gli slanci positivi, ma evidenziandone anche difetti e contraddizioni, così ora racconta un periodo oscuro della nostra storia, quella dal ’36 al ’45. Si tratta degli ultimi tempi di due attori famosi del cinema durante il regime fascista: Osvaldo Valenti (un Luca Zingaretti un po’ gigionesco) e Luisa Ferida (una solita Monica Bellucci insieme ad un efficace Alessio Boni). Si invischiarono in esperienze negative, causate soprattutto dal primo, artista esagitato, schiavo della droga e incapace di sottrarsi ad un’avventura autodistruttiva. Al tempo della Repubblica di Salò, furono visti entrare nella famosa villa Triste, dove si torturavano i prigionieri. A questi fatti accertati la sceneggiatura ha aggiunto alcuni particolari inventa- ti (non tuttavia sempre pertinenti). Lo ha fatto al fine di restare aderente al nocciolo fondamentale di quanto accaduto. L’autore pone l’accento sull’escla ma zione Abbiamo fatto giustizia! , pronunciata da un partigiano critico, dopo l’esecuzione dei due. Ha lo scopo di sottolineare il dubbio, se quella azione sia stata davvero la cosa giusta da fare. Giordana, preoccupato della scarsa possibilità, nel nostro Paese, di confrontarci sulle idee, ha verificato la difficoltà con la quale quegli avvenimenti sono stati trasmessi e la ritrosia a parlarne. Ha conferito a Sangue pazzo un valore emblematico di quel periodo, denunciandone la mentalità, incapace di una sufficiente autocritica e, quindi, esposta a dipendenze di vario tipo. Considera tali difetti, da lui intravisti prima di tutto nella società attuale, come i motivi profondi della crisi, anche di quel momento storico. Regia di Marco Tullio Giordana; con Monica Bellucci, Luca Zingaretti, Alessio Boni, Maurizio Donadoni.

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