Sanremo 2018: il festival che t’aspetti

S’è aperto al Teatro Ariston il 68° Festival di Sanremo. I primi dati  parlano chiaro: la kermesse tiene benissimo, e la formula baglioniana ha funzionato, almeno in termini d’ascolto: più di 11 milioni di telespettatori, per uno share che ha superato il 52%. Meglio dell’anno scorso. Gran merito però va alla performance di Fiorello…
ANSA/CLAUDIO ONORATI

È un Festival così. Come mille altri che l’hanno preceduto, e con una spruzzata d’inedito qua e là: il timoniere e la ciurma ovviamente, il cast e le canzoni certo (ma neanche tanto), un ritocco al regolamento (via le eliminazioni tanto odiate dai cantanti).

Insomma il solito Sanremone-one-one. Del resto la formula questa è: un grasso e lunghissimo varietà televisivo che tra prologhi e postumi, nella prima serata ci ha somministrato 6 ore di sbobba nazional popolare. Un menù prevedibile come quello di ogni rito, ma sul quale per una settimana converge gran parte dell’indotto televisivo mono-tematizzando gran parte dei palinsesti. Questa è anche la tivù, d’altra parte: un media creativamente moribondo, annichilito dal web, ma ancora capace di creare eventi e dunque di catalizzare attenzioni trasversali.

Al solito la baracca l’han tenuta su i contorni: con il vulcanico Fiorello in qualità d’apripista e il simpatico pout-pourri musicale di Favino su tutto. Quanto alla trippa canzonettistica la qualità m’è sembrata complessivamente tutt’altro che memorabile. Con la classe del trio Vanoni-Bungaro-Pacifico, col bel testo dell’accoppiata Meta e Moro (tra i papabili più quotati per la vittoria, ma a rischio perché il brano non era del tutto inedito), il delicato stornello di Barbarossa e l’appeal melodico di Annalisa. M’ha intenerito Ron che qui ha portato uno scartino inedito di Dalla che però al confronto di gran parte dei competitor pareva un gioiello, e non m’è dispiaciuta anche l’intensa Adesso, dell’accoppiata Diodato-Roy Paci.

Ho trovato il raffinato brano di Gazzè fin troppo impervio e fuori contesto e mi hanno delusi gli Eli, dai quali mi sarei aspettato un addio più… all’altezza della loro grandezza. Ma i miei pareri valgono i vostri perché il bello – e ciò che più funziona – di Sanremo da che esiste è proprio questa sua simil- democrazia giuridica.

Quel che si può dire fin d’ora è che questo 68° Festival procede sui solchi di una formula consolidata – e premiata dagli ascolti – in queste ultime edizioni: zero trasgressioni, più garbo e meno sguaiatezze scollacciate, profilo basso ed ecumenico, qualche risata a spezzar la noia. E canzoni “normali”, molte avvolte da un sapore di “già sentito”, fatte per durare una mezza stagione (nei casi migliori): con meno amore melassato, e più richiami a questi tempi complicati.

Bene dunque. Stasera si procede con la replica di mezzo cast, le prime 4 “nuove proposte”, e Sting e Shaggy in coppia (la moda del momento) ad aprire le autopromozioni degli ospiti stranieri. Buon proseguimento, a loro e a noi.

 

 

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