Salvata in treno

Cercava affetto, senza pensare ai rischi che poteva correre. Poi quel colloquio provvidenziale durante un viaggio

Sto viaggiando con mia madre anziana sul treno che ci porterà a Roma. Gli altri passeggeri del nostro scompartimento sono un giovane, una ragazza e – di fronte a noi – una signora sulla quarantina, con la quale si stabilisce subito un rapporto di confidenza. Annamaria – questo il suo nome – sembra desiderosa di liberarsi di un peso: comincia infatti a raccontarmi cose anche intime di sé, senza badare agli estranei presenti. La sua vita, un succedersi di disavventure e dolori con spalle un matrimonio fallito e un periodo di convivenza con un altro uomo.

Quattro mesi fa, la tragedia: il marito uccide questo convivente e finisce in carcere. Le rimangono tre figli, di cui una ragazza ventenne che lavora a Roma.

Recente il suo contatto via Internet, attraverso un’agenzia matrimoniale, con un altro uomo, un napoletano: tra i due s’è avviata una corrispondenza, si sono scambiate foto.

A questo punto la signora apre la borsetta e mi mostra l’immagine di lui. «Cosa ne pensa?», chiede. Rispondo: «Come fa ad essere certa che sia proprio quell’uomo? Può averle mandato una foto qualunque. Al suo posto io non mi fiderei».

Annamaria continua a dilungarsi su questo rapporto che evidentemente l’assorbe tutta. Lui l’ha invitata a Napoli, dicendo di essere divorziato e, come lei bisognoso di affetto. Lei ha ceduto alle lusinghe, alle promesse di denaro, e sta appunto per raggiungerlo. Ma si vede che non è pienamente sicura del passo che sta facendo; parla come se volesse convincere sé stessa e, in fondo, cercare delle conferme da parte mia

Fin dall’inizio il suo racconto è stato interrotto da telefonate, che ora capisco fatte da quell’uomo.

Intanto il treno fa una fermata alla stazione di Pompei. Con mia madre recito un’Ave Maria e in cuor mio affido la signora alla Vergine del celebre santuario: ci pensi lei a sciogliere una situazione così ingarbugliata! Subito dopo avverto dentro di me una forza nuova, una spinta a fare qualcosa per questa creatura che mi sembra indifesa e in balia di contrastanti sentimenti.

Mancano pochi minuti all’arrivo a Napoli-Piazza Garibaldi, devo fare in fretta. Con decisione dico ad Annamaria: «Spenga il telefono, non si faccia chiamare più! Telefoni invece a sua figlia a Roma e le dica di aspettarla alla stazione». La invito nuovamente a non fidarsi di quella persona e le prospetto i rischi a cui può andare incontro: essere usata e perfino finire sul marciapiede.

È come se all’improvviso le si aprissero gli occhi. Accetta il mio consiglio di proseguire per Roma e chiama la figlia, accennandole quello che sta vivendo; poi me la passa. Dall’altra parte del telefono anche Daniela si dice d’accordo che la madre non vada incontro a quell’avventura. A mia volta insisto: «Daniela, chiedi un permesso di lavoro e vieni alla stazione Termini alle 16, 15 a prendere la mamma». La ragazza accetta.

Ma subito sorge una preoccupazione. Tra pochi minuti faremo sosta a Napoli, e quell’uomo che sa persino il numero della carrozza potrebbe salire a cercare Annamaria. Lei comincia a tremare. Capisco che devo prendere la situazione in mano e le suggerisco di chiudersi nella toilette, in modo che, anche se sale sul treno, lui non possa trovarla.

Ancor prima di fermarci in stazione, lei è già “sigillata” in bagno. Ma non succede niente. Passato il pericolo, quando il treno riparte, la raggiungo per dirle che può uscire. Ancora scossa, si siede accanto a me: è in un momento delicato, ha bisogno di essere sostenuta. A questo punto Annamaria chiede il parere della ragazza che viaggia con noi, e pure lei le conferma che ha fatto bene a non scendere dal treno.

Arrivati a Termini, l’altro compagno di viaggio che ha ascoltato in silenzio tutta la storia provvede a depositare sulla banchina le nostre valigie, mentre io aiuto la mamma. Tra noi corre uno sguardo d’intesa: anche lui approva il mio comportamento verso quella donna.

L’abbraccio tra la signora e la figlia è commovente. Daniela non finisce di ringraziarmi: secondo lei ho “salvato” la mamma. Prima di lasciarci prometto ad Annamaria telefonate e preghiere. Sono certa – e glielo dico – che d’ora la sua vita scorrerà più serena.

Caterina P.

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