Salvare la pace ora tocca all’Onu

La notizia ha colto di sorpresa tutti, anche me che avevo già licenziato questo editoriale, sul quale tuttavia ho potuto ancora intervenire. Di ben poco, perché non ero stato un cattivo profeta. Voglio restare quell’inguaribile ottimista che mi si accusa di essere – esordivo – e sperare che gli avvenimenti mi diano ragione. Adesso la mossa di Saddam di accettare le ispezioni dell’Onu, senza frapporre condizioni, dovrebbe quanto meno allontanare lo spettro della guerra. Continueremo dunque a seguire gli avvenimenti, sapendo bene che questi non accadono da soli, né per una maligna sorte del fato. L’uomo è libero e responsabile: è lui dunque a determinarli. Un uomo ha diretto gli aerei sulle Torri Gemelle. È l’uomo chiamato ancora a decidere oggi, nella persona del presidente americano Bush e del rais iracheno Saddam, ma finalmente anche nei rappresentanti dell’Onu, se ci sarà o meno una nuova guerra in Medio Oriente. Certo, come a determinare la tragedia dell’11 settembre non è stato Bin Laden da solo, così non si possono circoscrivere le responsabilità del minacciato conflitto ai soli Bush e Saddam, anche se a loro spetterà quasi certamente l’ultima parola. La grande sperequazione economica esiste e si va dilatando fra il nord e il sud del mondo. Il recente vertice di Johannesburg ne è stato uno specchio. Eppure, in questo caso non rappresenta la sola causa delle attuali tensioni. In poche parti del mondo, come nei paesi arabi, essa è infatti più evidente e tollerata. Le stesse Nazioni Unite hanno denunciato questo dato di fatto nel rapporto annuale del Programma dell’Onu per lo sviluppo, che accusa proprio i governi di tali paesi di essersi resi responsabili dell’isolamento culturale della gente. Tutto ciò nonostante i grandi mezzi economici forniti dal petrolio. Manca quasi del tutto l’informazione. Si dovrebbe dunque parlare di grande sperequazione mediatica. Ma non possiamo continuare a leggere la realtà di quel mondo con le sole categorie occidentali. Forse, nel breve periodo, potremo fare poco per ridurre il divario culturale ed ideologico che ci separa, ma si potrebbe cominciare col cercare di fare di quel pianeta, così vicino da poterlo toccare fisicamente allungando un braccio, eppure così lontano dal nostro modo di intendere la realtà, una lettura il più possibile corretta. E degli ultimi avvenimenti produrre una informazione più oggettiva. Abbiamo sentito e letto di tutto, pro e contro la necessità di una guerra. Forse conviene raccogliersi, fare un po’ di silenzio e riflettere. “Con la pace tutto si può salvare. Con la guerra tutto può essere perduto”, gridava inascoltato Pio XI alla vigilia di quell’immane massacro che fu il secondo conflitto mondiale. “Come possono verificarsi episodi di così selvaggia efferatezza?”, si è chiesto ancora pochi giorni fa Giovanni Paolo II commentando l’11 settembre; ma ha parlato anche di “scandalose condizioni di ingiustizia e di oppressione che creano situazioni favorevoli all’esplosione incontrollabile del rancore”; concludendo però che il male e la morte non avranno l’ultima parola. E il segretario vaticano per i rapporti con gli stati, mons.Tauran, ha precisato che nell’eventualità di una guerra “ci si deve domandare se le operazioni a cui si pensa sono un mezzo adeguato per favorire la riconciliazione”. La stessa Unione europea e tutti i maggiori paesi coinvolti, perché alleati degli Stati Uniti, o comunque membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu, hanno espresso analoghe perplessità. E finalmente ha prevalso l’indicazione di ricorrere all’Onu prima di intraprendere qualsiasi altra iniziativa nei confronti dell’Iraq. Naturalmente ad un’Onu che sappia essere convincente.

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