Roma al massimo

Nel revival di un mondo antico, spicca l'iniziativa del museo romano.
Roma antica è sempre più di moda. Fra Cinecittà, l’Africa del Nord e gli studi di Hollywood non si contano più le ricostruzioni dei Fori, dei palazzi e delle strade dell’Urbe dove si girano a ritmo industriale film per il grande schermo e serial televisivi. Per non parlare di Internet, dove fra i tanti e visitatissimi siti sul tema ora si può anche percorrere in 3D il plastico dell’Urbe costantiniana conservato nel Museo della Civiltà romana all’Eur.

 

Oltre a tutto questo revival, non mancano le iniziative alte e con le carte scientifiche in regola. Una di queste, Scopri il Massimo, è in corso (e lo sarà fino al 7 giugno) al Museo Nazionale romano di Palazzo Massimo. Vengono proposti quattro eventi espositivi inediti, che vanno ad arricchire il patrimonio archeologico e la conoscenza della romanità.

 

Il primo evento, Il paradiso in una stanza, si deve a un prestatore d’eccezione, il Louvre. Sono gli affreschi e le iscrizioni della Tomba di Patron, un medico greco sepolto vicino all’Appia Antica nel I secolo a.C. La decorazione di questa antichissima camera sepolcrale si è salvata solo in parte, ma quello che abbiamo davanti agli occhi – uccelli, rami d’alberi, una processione di familiari e di servi – è di una qualità artistica eccezionale. Inoltre si tratta di immagini che contribuiscono a far capire la religiosità dei Romani, la loro attesa dei Campi Elisi come luogo di serenità e di conforto.

 

Il secondo evento coinvolge la ritrattistica romana. Nella mostra del Massimo è esposta per la prima volta la testa del diciassettenne Marco Claudio Marcello, il nipote più amato di Augusto. Il suggestivo allestimento luministico curato da Vittorio Storaro e dalla figlia Francesca ci avvicinano con emozione a questa classica testa di giovane romano, dai capelli corti e dall’aria che appare fragile e malinconica alla luce della tragica sorte in agguato.

 

Un titolo latino, Ut rosa amoena (Come una bella rosa), è stato pensato per l’esposizione – la prima dopo cinquant’anni e un radicale restauro – del Grande Colombario del I secolo a.C. scoperto nell’Ottocento a Villa Doria Pamphilj. Le tre grandi pareti dense di loculi – ognuno col suo contenitore, la olla, per le ceneri del defunto – fanno capire molto bene perché gli archeologi hanno chiamato colombari questi autentici sepolcri collettivi e popolari.

 

L’ultimo evento espositivo, Antiche stanze di Termini, richiama gli scavi eseguiti a Piazza dei Cinquecento fra il 1947 e il ’50, che riportarono alla luce una domus e dei balnea (gli impianti termali privati, mentre le thermae erano pubbliche) della famiglia imperiale di Adriano. Purtroppo i muri furono distrutti, ma affreschi e mosaici vennero distaccati e restaurati. Al Massimo sono state ricomposte tre stanze della domus e parte dei balnea, con gli affreschi e i mosaici pavimentali originari. Inoltre è possibile vedere il luogo esatto del ritrovamento, ai piedi di Palazzo Massimo: basta affacciarsi alle aperture appositamente praticate. Quasi un sunto emblematico, insomma, della lunga serie di distruzioni, scoperte e ricostruzioni che è la storia stessa di Roma. E non solo quella dei suoi monumenti.

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