Riconquistare le nostre città

Eccolo qua il vero pericolo pubblico di ogni città. Non fatevi irretire dalla diatriba nazionale iniziata a fine agosto sulla sicurezza urbana con l’ordinanza del sindaco di Firenze, Leonardo Domenici. Non sono i lavavetri gli attentatori dell’ordine e del decoro, né i mendicanti, gli zingari o le prostitute, e nemmeno gli imbrattatori di muri e gli sporcaccioni del suolo pubblico. La grande emergenza è costituita dai bambini. Quanti ne vedete circolare nella vostra città? E non c’entra la scarsa natalità. Sono reclusi negli edifici e accompagnati fuori con la scorta di qualche adulto per non circolare in libertà. Una città che vuol funzionare li vede come il fumo negli occhi: i bambini potrebbero ostruire i marciapiedi, rincorrersi nelle vie, giocare nelle piazze. Ci sono troppi parcheggi ha sentenziato Aurelio, studente delle elementari. Un autentico sobillatore, perché una frase tanto assurda (apparentemente) non l’ha certo sentita pronunciare dagli adulti, sempre in cerca di uno spazio per l’auto. Il piccolo attentatore fa parte del consiglio dei bambini che lavora per migliorare la città di Asti. Mancano spazi per giocare all’aperto. Propongo perciò al sindaco di fare con i posteggi metà e metà, altrimenti penso che io non valgo più di un auto. I bambini hanno perso la città e la città senza di loro è diventata peggiore, più brutta, insicura e insalubre , precisa Francesco Tonucci, del Centro nazionale delle ricerche, responsabile del progetto La città dei bambini. Dal secondo dopoguerra, le città sono state costruite avendo come punto di riferimento il cittadino adulto, maschio, lavoratore. Niente mocciosi. Se i bambini torneranno nelle strade – afferma Tonucci -, le città saranno meno pericolose. È un fatto già sperimentato in alcune città del mondo. Scarso realismo? Macché, replica pronto Franco La Cecla, docente di antropologia culturale all’università di Venezia. Vogliamo città vive e poi si penalizzano i giovani. Come si fa a pensare che la soluzione siano i regolamenti di polizia? Sentenziano piuttosto la morte della già compromessa convivenza urbana. Prima si viveva in strada, ricorda, Adesso sono stati uccisi gli spazi abitati, la città è diventata uno scheletro di presenze. Gli unici che vivono la città come luogo sono gli immigrati. Esagerazioni? Perché allora si scappa ogni fine settimana? Gli immigrati possono aiutarci ad affollare la città. E attenzione al dibattito sulla sicurezza, perché veicola un messaggio sottile: che la città è del sindaco, della polizia, delle associazioni di categoria, ma non dei cittadini. Mai come adesso la città ha assunto tanta importanza nella storia. Non solo perché ormai metà della popolazione mondiale vive in un contesto urbano (solo un decimo, un secolo fa), ma soprattutto perché è diventata il luogo in cui si accumulano tensioni e sfide planetarie dovute alla globalizzazione e alle migrazioni. Considerata sino a qualche decennio fa lo spazio della libertà e della protezione, della convivenza e della relazione, la città – anche nella nostra Italia, dove pur non esistono megalopoli – è pervasa ora da un clima di inospitalità e insicurezza, illegalità e abbandono. Gli studiosi rimandano alla storia di Babele, presente in vario modo in tante tradizioni religiose, quasi che queste abbiano voluto avvertire con qualche millennio d’anticipo che il luogo abitato rischia di trasformarsi in uno spazio straniero. La città è opera dell’uomo – nella Bibbia Dio crea il mondo ma non costruisce la città – ed è legata alla superbia umana. La crisi della città e delle città denuncia una crisi più profonda, quella della concezione dell’uomo e delle sue relazioni con gli altri e con l’ambiente. Non basta quindi per un tale malato un provvedimento come il pacchetto sicurezza, che il governo ha promesso di varare entro settembre su iniziativa del ministro degli Interni Amato. E non possono risultare un toccasana quei maggiori poteri di polizia richiesti dai alcuni sindaci . Serve tornare a guardare alla città nel suo complesso e nel suo sviluppo recente e futuro. Derive pericolose sono in atto. Come già negli Stati Uniti, anche in Europa e nel nostro Paese si stanno sviluppando due fenomeni che alterano la vita urbana. Il primo riguarda il sorgere, come satelliti, di cittadelle commerciali che consentono l’incontro e il relax (dopo gli acquisti) in piazze ricreate con tanto di alberi veri e perfettamente pulite e sicure: spazi privati con una (interessata) finalità pubblica meglio assolta rispetto alla città, ma restano dei cosiddetti non-luoghi, in cui non conta la propria identità e la propria storia, ma vale la carta di credito e la tessera di fedele consumatore. Il secondo – presente in tante città del mondo – desta maggiore preoccupazione, perché si assiste ad uno spazio pubblico che diventa privato: quartieri omogenei dal punto di vista della classe sociale e dell’etnia trasformati in vere e proprie isole di benessere, funzionalità, sicurezza. Allora, addio al senso della città quale luogo d’incontro e integrazione tra gruppi sociali diversi per livello economico, cultura e provenienza. È in questo quadro che va inserito il problema del degrado urbano e della microcriminalità. Quella miscela di esasperante quotidianità popolata di borseggiatori e spacciatori di droga, venditori ambulanti e mendicanti, posteggiatori abusivi e prostitute.Ma anche abusivismo, scritte deturpanti, tavolini illegali sul suolo pubblico, auto in seconda e terza fila, sporcizia diffusa. Da qui, il senso di insicurezza, l’amara constatazione di regole infrante senza la certezza delle sanzioni, che alimentano insofferenza, chiusura e violenza. Di moda è tornata nelle parole dei politici di casa nostra l’espressione tolleranza zero. Tuttora i sindaci sono chiamati ad aprire una nuova stagione, con scelte lungimiranti per l’accoglienza e l’integrazione e coraggiose misure per il rispetto delle regole, base della convivenza civile. Per alcuni osservatori, è importante incominciare a colpire la catena che tiene insieme le illegalità quotidiane. Non importa se il bersaglio sono i lavavetri. Troppo comodo, replicano enti e associazioni impegnati con le fasce meno protette della popolazione. Vanno colpiti piuttosto i vari tipi di sfruttamento e gli eventuali racket che li gestiscono, non gli sfruttati. A questi, anzi, si dia la possibilità di denunciare i responsabili e incominciare un percorso d’inserimento. Senza sicurezza non c’è senso di appartenenza, non si crea comunità , ha affermato Andrea Olivero, presidente delle Acli, nel corso del convegno di studi sul tema I luoghi dell’abitare, svoltosi ad inizio settembre a Orvieto. Ma la sicurezza o è di tutti o non è di nessuno: non di un solo territorio, il centro storico; non di un solo gruppo sociale, i benestanti; né solo fisica del cittadino indifeso, ma anche sociale degli sfruttati. Ed anche il principio della legalità deve valere per tutti. La politica italiana, se vuole riguadagnare credibilità nei confronti della gente, è chiamata a compiere un passaggio culturale. Da più parti viene invocata su questi temi una tregua tra Prodi e Berlusconi, per provare ad accordarsi su un pacchetto di provvedimenti certi, attuabili e di rapida approvazione. Sarebbe un felice esempio di comune ricerca del bene comune, perché il problema della sicurezza e il rispetto della legalità e degli altri, anche se diversi da noi, non sono né di destra, né di centro, né di sinistra. Un fatto del genere passerebbe alla storia. Ripartire dalle città e dalle esigenze quotidiane della gente potrebbe aiutare a superare l’attuale crisi della politica. Ma non basta. Per noi è indispensabile che gli abitanti tornino protagonisti sul tema della città. Quanti hanno a cuore la città, tanto più se organizzati in gruppi e associazioni, sono adesso chiamati a dire il loro amore e a manifestarlo con maggiore senso civico e partecipazione. Le amministrazioni locali, ed anche i sindaci più intraprendenti, hanno bisogno della vicinanza intelligente, fatta di proposte e di critiche costruttive, di una popolazione non più passiva e rassegnata, o solo furente. È il tempo di tornare a vivere la città, di prendersene cura, di riscoprirne l’anima, la memoria e la vocazione, di ricostruire legami tra la gente, di valorizzare anche il patrimonio umano e sociale. È il momento di riconquistare la città per contribuire a renderla più bella e più vivibile, di riappropriarsene perché torni ad essere di tutti e a misura di persona. Meglio se di bambino.

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