Regionali Fvg, il successo annunciato di Fedriga

Si conferma il presidente uscente con oltre il 64 per cento dei voti. Va invece al ballottaggio per l'elezione del sindaco il comune di Udine
Il presidente regionale appena rieletto, Massimiliano Fedriga. ANSA / ANDREA LASORTE

Un risultato annunciato, ma tant’è: il leghista Massimiliano Fedriga si è confermato presidente del Friuli Venezia Giulia, con il 64,2 per cento dei voti. Un risultato sostanzialmente in linea con i pronostici – i più rosei, dato che si tratta di una percentuale mai raggiunta prima da altri candidati – e apparso chiaro sin dalle prime sezioni scrutinate, tanto che già un paio d’ore dopo la chiusura dei seggi Massimo Moretuzzo, lo sfidante di centrosinistra e M5S, ha chiamato per congratularsi. «Ringrazio gli elettori del Friuli Venezia Giulia per avermi confermato alla guida della Regione. Un’importante manifestazione di fiducia che rappresenta una grande responsabilità, anche perché sono il primo governatore di questa regione a essere rieletto dai cittadini», è stata la prima dichiarazione di Fedriga – appunto il primo ad essere riconfermato da quando c’è l’elezione diretta dei presidenti di regione. «Sapere che il lavoro svolto in questi cinque anni, segnati dal Covid e non solo, sia stato così apprezzato dalla gente rappresenta un orgoglio e uno sprone per continuare a lavorare ancora più fortemente al fine di conseguire gli obiettivi del nostro programma».

«Sapevamo che era una partita complicata, ce l’abbiamo messa tutta», ha affermato dal canto suo Moretuzzo; che comunque non può dirsi del tutto insoddisfatto, nella misura in cui il risultato ottenuto dalla sua coalizione – il 28,4 per cento – è comunque indice del fatto che il centrosinistra nel complesso ha tenuto rispetto alle precedenti consultazioni – nonostante il vistoso calo della lista del M5S, passato dal 7,2 per cento delle politiche al 2,4 delle Regionali.

Se centrodestra e centrosinistra hanno quindi sostanzialmente confermato le previsioni, le sorprese hanno riguardato gli altri due candidati e la ripartizione dei voti di lista interna alle coalizioni stesse. Sul primo fronte è da registrare infatti l’inaspettato risultato di Giorgia Tripoli, candidata di una variegata compagine civica definitasi come “antisistema” – dai no vax al Popolo della Famiglia – che ha ottenuto il 4,66 per cento dei voti al presidente; pur mancando per una manciata di voti l’obiettivo di portare in Consiglio la sua lista collegata “Insieme Liberi”, che ha ottenuto il 3,98 per cento con la soglia di sbarramento al 4. Per questo la Tripoli ha annunciato che chiederà un riconteggio. Si tratta in ogni caso di un risultato che, a detta degli stessi avversari politici della Tripoli, obbliga a chiedersi le ragioni di un voto che si configura come “di protesta” che ha avuto dimensioni ben più ampie del previsto, pur rimanendo minoritario.

Risultato viceversa inferiore alle aspettative per il candidato del Terzo Polo e +Europa, Alessandro Maran; che si è fermato al 2,73 per cento, contro l’8 per cento che i suoi partiti di riferimento avevano ottenuto alle politiche. Una conferma insomma, se mai ce ne fosse bisogno, che quanto si parla di enti locali le dinamiche di voto sono diverse da quelle nazionali. Maran comunque, da politico di lungo corso qual è, ha affermato di guardare oltre alle contingenze: «Questa corsa ha rappresentato un mattone per costruire la casa dei riformisti, è stata un passaggio – ha dichiarato al Messaggero Veneto -. Per la prima volta le forze centriste si sono messe insieme, un’area riformista è stata alternativa ai populisti. Il progetto riguarda l’Italia, non solo la Regione. Abbiamo avuto il sostegno del premier sloveno Golob, la dimensione europea diventa importante, inevitabilmente si andrà verso questo sbocco».

In quanto ai voti delle singole liste, la sorpresa è stata in particolare interna al centrodestra: contrariamente alle previsioni non hanno sfondato né la lista “personale” di Fedriga, giunta solo terza con 17,77 per cento, né quella di FdI, con il 18; mentre è prima la Lega, con il 19. Non c’è quindi stato un riequilibrio dei rapporti di forza, che avrebbe mandato un forte messaggio al Carroccio anche a livello nazionale.

Si sono tenute poi in questi giorni anche le elezioni per il sindaco il 24 comuni; di cui il maggiore è Udine. Comune che, al momento, non ha ancora un sindaco: l’uscente Pietro Fontanini per il centrodestra e l’ex rettore dell’ateneo cittadino Alberto Felice De Toni per il centrosinistra si sono infatti fermati rispettivamente al 46,25 e al 39,7 per cento, prefigurando il ballottaggio tra due settimane. I giochi sono dunque ancora aperti: e la sfida in particolare per De Toni sarà quella di portare alle urne quel 9,24 per cento di elettori che ha scelto Ivano Marchiol, candidato civico “di sinistra” (nel senso in cui le sue linee programmatiche sono più vicine a quelle di questa parte politica, pur non identificandovisi) sostenuto anche dal M5S. Marchiol stesso, del resto, aveva aperto ad una possibile alleanza in caso di ballottaggio. Più inclini a confluire su Fontanini invece i voti della civica di destra “Liberi elettori – Io amo Udine” capeggiata da Stefano Salmè, che ha ottenuto il 4,81 per cento. Guardando i voti di lista, a Udine primo partito è il Pd con il 19,54 per cento; seguito da FdI con il 14,24. Terza è la civica De Toni Sindaco, con il 12,36 per cento, e solo quarta la Lega, con il 9,92. A livello comunale, dunque, dinamiche di voto ancora diverse: Fedriga ha infatti ottenuto in città circa 3500 voti più di Fontanini, stando a significare che altrettanti elettori hanno votato per il centrodestra alle regionali ma non alle comunali.

L’appuntamento è quindi ora per domenica 16 e lunedì 17 aprile, in un ballottaggio che si preannuncia come una sfida all’ultima scheda: cosa a cui la città non è nuova, dato che anche cinque anni fa Fontanini vinse contro il dem Vincenzo Martines al secondo turno per soli 280 voti.

Ultima considerazione sul’affluenza: si è attestata al 45 per cento, al di sotto della “soglia psicologica” del 50 che era stata raggiunta cinque anni fa, ma comunque lontana dai “crolli” che si erano visti alle regionali di Lazio e Lombardia.

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