I ragazzi del Bambino Gesù

Raccontare la dignità del dolore. Questo l'obiettivo del documentario che va in onda da qualche settimana su Rai3.

Dal 19 febbraio, ogni domenica in seconda serata, va in onda su Rai3 I ragazzi del Bambino Gesù. Il documentario in dieci puntate, ideato da Simona Ercolani e realizzato da Stand by me, con il patrocinio del Ministero della Salute e dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, si propone di raccontare le storie quotidiane di dieci bambini e ragazzi alle prese con la malattia e con il processo di cura e guarigione, nella cornice del Bambino Gesù di Roma, uno degli ospedali pediatrici più importanti d’Europa. I ragazzi del Bambino Gesù – sottolinea il Garante – è la testimonianza di come sia possibile un impegno comune per attraversare la sofferenza, per attribuirle un significato trasformativo, “di come dentro le pieghe del dolore sia possibile intercettare la speranza e la bellezza della vita”.

La narrazione è semplice e delicata e alterna riprese della quotidianità a interviste ai soggetti coinvolti (pazienti, famigliari, medici), così come tipico nel genere del docu-reality. Il racconto non si focalizza sull’esasperazione del dolore, ma sulla sua dignità. I giovani pazienti raccontano la propria esperienza, esprimendo le loro sensazioni, le loro paure, le loro rinunce, ma anche i loro sogni. I genitori, intervistati, raccontano anch’essi i propri sentimenti, lasciando intuire la forza e la speranza che prevalgono sui momenti di paura e di sconforto.

Il documentario rientra nella strategia comunicativa iniziata già dalla fiction Braccialetti Rossi, che punta a sdoganare il tabù malattia-infanzia anche in televisione. A differenza di Braccialetti Rossi, però, non si tratta di fiction, ma di racconto del reale. Parlare di bambini e malattia è delicato e richiede un giusto tono. Il documentario di Simona Ercolani riesce a conseguirlo, senza essere morboso o sensazionalistico, né nell’uso del linguaggio né di altri elementi di post produzione (riprese, montaggio, scelta della musica di accompagnamento). Lo spazio della narrazione è lasciato alle storie personali, al racconto dell’esperienza. Il programma, insomma, vuole trasmettere l’idea che la malattia non è un tabù, ma una condizione che attiva meccanismi di coraggio e di solidarietà. Il silenzio che circonda la malattia è infatti spesso legato alla vergogna con cui si vive tale condizione.

I ragazzi del Bambino Gesù, invece, enfatizza molto la necessità e l’importante dell’aiuto e del sostegno reciproco, provando a raccontare la vita anche in situazioni di sofferenza e di tristezza. I giovani pazienti sono ritratti circondati dal sostegno e dall’affetto non solo di amici e familiari, ma anche degli altri pazienti, così come di una fitta rete di sostegno costituita da medici, infermieri, volontari, associazioni e case di accoglienza. Di fronte a questo tipo di rappresentazione viene in mente il recente richiamo di Papa Francesco, durante il suo ultimo messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sull’importanza di “comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo”, offrendo narrazioni contrassegnate “dalla logica della buona notizia”, che non significa negare la realtà della sofferenza, ma raccontarla sapendo suscitare speranza. Allo stesso modo, è utopistico pensare che il Bambino Gesù sia il prototipo di tutti gli ospedali o i reparti pediatrici d’Italia. La sensazione è che il centro medico romano sia una realtà speciale, un’eccellenza del nostro Paese, in grado di offrire ai bambini non soltanto le cure mediche necessarie (come del resto in altri ospedali), ma altri tipi di servizio, come la gita di una settimana al mare, su Naveitalia, organizzata dall’ospedale stesso e dalla Marina Militare, probabilmente meno accessibili in altri contesti.

Soprattutto a partire dagli anni Ottanta, il piccolo schermo ha intuito la propria capacità di portare all’attenzione generale storie “vere”, a cavallo fra dimensione pubblica e privata. I rischi insiti in questa precisa dimensione narrativa sono, come intuibile, la spettacolarizzazione dei sentimenti e un atteggiamento implicitamente voyeuristico e curioso. I ragazzi del Bambino Gesù riesce a evitare di cadere in questa trappola narrativa, pur senza rinunciare a una rappresentazione emotiva del racconto, in cui la dimensione quotidiana dei sentimenti risulta centrale.

Infine, la forza del progetto risiede nei suoi sviluppi transmediali. I ragazzi del Bambino Gesù, infatti, è molto più di un documentario televisivo. Accanto alla messa in onda delle puntate è stata attivata un’intensa comunicazione online volta a fornire agli utenti informazioni sanitarie tempestive e corrette, sia attraverso la pagina Facebook ufficiale del programma, sia attraverso il sito internet dell’ospedale (www.ospedalepediatricobambinogesu.net).

Un esperimento interessante, insomma, che si bilancia tra una rappresentazione non esasperata del dolore e la delicatezza di un tema che non può lasciare indifferenti, soprattutto sul piano emotivo.

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