Quale legge elettorale dopo l’Italicum?

Quando andremo al voto, con quali regole lo faremo? Cosa chiede il fronte del "No" che ha vinto l’ultimo referendum? Intervista a Pietro Adami dei Giuristi democratici
Elezioni 2013

L’associazione dei Giuristi democratici oltre ad essere stata tra i sostenitori più convinti per il “No” al referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale, ha espresso una netta contrarietà alla legge elettorale della Camera (Italicum) votata dalla maggioranza che sosteneva il governo Renzi.

Renzi
Renzi

La Corte Costituzionale ha mantenuto il premio che permette di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi al partito che supera il 40 % dei voti. Ha invece bocciato, tra l’altro, il dato caratteristico dell’Italicum e cioè la previsione del  secondo turno che assegnava il premio di maggioranza al vincitore del ballottaggio tra i due partiti che avevano ottenuto più consensi senza arrivare alla fatidica soglia del 40%.

I mondo politico è in subbuglio tra coloro che vogliono andare al voto quanto prima e chi, invece, crede sia meglio rimettere mano alla legge elettorale per armonizzare le regole tra Senato e Camera con l’intenzione di arrivare alla fine della legislatura nel 2018.

Le motivazioni della sentenza della Corte saranno note a fine febbraio, ma possiamo fare il punto della situazione con l’avvocato Pietro Adami che esprime il punto di vista dei Giuristi democratici e interverrà al prossimo laboratorio parlamentare promosso giovedì 16 febbraio proprio sulla legge elettorale dal Movimento Politico per l’Unità.

Che valutazione date alla decisione della Consulta? È stato bocciato il ballottaggio al secondo turno, ma mantenuto il premio di maggioranza…
Credo sia utile sottolineare un risultato che non era affatto scontato. Chiaramente il ballottaggio non cade in sé. Nessuna norma costituzionale preclude i ballottaggi. Il ballottaggio è stato dichiarato incostituzionale in quanto attributivo di un eccessivo premio di maggioranza. A tal fine credo sia utile ricordare quanto aveva già esposto chiaramente la sentenza numero 1 del 2014, con la quale la Corte aveva dichiarato l’incostituzionalità del Porcellum.

Cosa ha detto questa sentenza?
È bene citarla direttamente: “Il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale introdotto con la legge n. 270 del 2005, in quanto combinato con l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio, è pertanto tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.)”.

La Corte aveva già indicato la strada al legislatore: metti pure il premio, ma con una soglia che ne delimiti e predetermini l’effetto massimo. Nessuno però poteva prevedere come avrebbe letto la Corte un premio da attribuirsi con il ballottaggio, che è comunque un passaggio elettorale.

La dichiarazione di incostituzionalità è un risultato storico e permanente. Anche perché nella motivazione non potranno che uscir fuori concetti a noi cari, vale a dire i limiti che il legislatore incontra nella deformazione della rappresentanza finalizzata alla governabilità.

È questo il punto centrale della questione?
Certo. Questo è importante. La rappresentanza speculare, vera e piena, è la democrazia. Le distorsioni sono antidemocratiche. La Corte qui è intervenuta perché col ballottaggio il legislatore ha esagerato (la Corte non scrive leggi, ma interviene quando l’eccesso è grave e palese). Però se il premio è l’antidemocrazia (regala 90 seggi al primo classificato), non è detto che dobbiamo  tenercelo. Nessuno ci impedisce di completare il lavoro iniziato dalla Corte, abolendo o diminuendo il premio.

Quindi quale legge elettorale ritenete coerente con l’impianto costituzionale?
È importante, in questo momento,  e nei prossimi giorni, riuscire a far capire che l’Italicum  era incostituzionale perché voleva per forza attribuire la maggioranza dei seggi ad una minoranza. E dunque, come detto sopra, ribadire concetti semplici, per i quali, in questo momento vi può essere ascolto: il Parlamento deve rappresentare tutti, deve essere uno specchio del pensiero del Paese. Non deve chiudersi, ma aprirsi, per rilanciare un senso di appartenenza e partecipazione dei cittadini che si va perdendo. Non è chiudendo il Parlamento alla rappresentanza che si garantisce la governabilità del Paese.

Il sistema proporzionale non conduce alla paralisi in considerazione della frammentazione dei partiti e l’emergere di una prevalenza tripolare senza accordi possibili tra gli schieramenti?
Se gli italiani la pensano in 5/6 modi diversi non è a bastonate che potranno essere ricondotti ad un pensiero unico o duplice. Fino ad un certo momento il main stream del pensiero politico occidentale vedeva come punto di arrivo la democrazia maggioritaria.  Elezioni che, disinteressandosi del pensiero marginale, conferiscano tutto il potere ad una forza politica, o meglio ancora ad un singolo gruppo dirigente.

Questo era considerato il punto di arrivo della stabilità. Si sacrifica la partecipazione, ma si guadagna in solidità del sistema. Relitti del passato sono stati considerati, invece, i parlamenti costituiti in modo proporzionale, che costringevano a faticosi compromessi ed a governi condivisi tra diverse forze politiche.  Ci si deve chiedere, alla luce degli eventi degli ultimi anni, proprio volendo ragionare in un’ottica di stabilità, se sia ancora questa la soluzione da preferire.

Certo veniamo da un periodo complicato…
Anche l’attuale governo, similmente ai precedenti, è frutto di un accordo parlamentare tra PD e una parte che si è man mano staccata da Forza Italia. Mi pare che l’accordo di governo che ha guidato i diversi esecutivi sia stato stabile e sia durato l’intera legislatura. Non solo, ma la conflittualità tra le due aree di pensiero si è ridotta drasticamente. Il conflitto virulento si è spostato verso i 5 Stelle. Dunque i governi di coalizione hanno l’effetto di spostare lo scontro su un terreno più politico (intendendo proposte e programmi) e meno personalistico, almeno nella dialettica tra le forze coinvolte nelle maggioranza parlamentari.

Quindi?
Voglio dire, in sintesi, che la democrazia è il governo della maggioranza. Il sistema parlamentare postula che i partiti si mettano d’accordo per governare il Paese. Se non saranno in grado di farlo (ma la storia ci dice che in Italia ci sono riusciti sempre, perfino la DC ed il PCI durante la guerra fredda) ne risponderanno ai propri elettori.

Tolta di mezzo la riforma Boschi, hanno ragione coloro che dicono che ormai ogni riforma è impossibile da proporre? È invece auspicabile e possibile una riforma costituzionale e in che senso?
Non è cambiando la Costituzione che risolveremo i nostri problemi. È certo che anche la Costituzione può essere migliorata, senza stravolgimenti, con riforme mirate e puntuali. Intanto, per cominciare, tornando al testo originario, rispetto alle riforme sbagliate degli ultimi anni (a partire dall’art. 81 sul pareggio di bilancio e dallo pseudo- federalismo del titolo V).

In quale direzione dovrebbero andare i miglioramenti?
Si deve andare verso maggiori forme di partecipazione, diritti delle minoranze e contrappesi al potere del governo, e non in senso opposto. Maggiori garanzie e controlli e non il contrario. A fronte di questi controlli indubbiamente va consentito al governo di governare in modo scorrevole tutta l’ordinaria amministrazione.

Mi permetto un’ultima annotazione che spero non abbia nulla di profetico. La democrazia parlamentare nel mondo è in crisi. Molti in Italia pensano che le conquiste democratiche non si possano perdere e siano definitive. Errore grave. La storia recente ci insegna che in tempi rapidissimi il sistema può collassare da democrazia a stato autoritario.

Quindi ogni eventuale modifica che faremo alle regole costituzionali deve proteggere maggiormente il sistema da strappi autoritari.

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