Premio Sacharov: un vescovo iracheno tra i “quasi vincitori”

Tra i segnalati nella terna finale del “Premio Sacharov per la libertà di pensiero” 2020, c’è anche l’arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Najeeb Moussa Michaeel, che oltre ad aiutare la fuga di molti cristiani al tempo dello Stato Islamico, ha salvato dalla distruzione migliaia di antichi documenti.
Terroristi dell'Isis

Come ogni anno, dal 1988, in questo periodo il Parlamento Europeo assegna il “Premio Sacharov per la libertà di pensiero”, che viene poi consegnato durante il successivo mese di dicembre. In questi oltre 30 anni dalla sua istituzione, il Premio Sacharov è stato attribuito a più di 40 persone e organizzazioni, di oltre 30 Paesi in tutto il mondo.

Nonostante il Covid-19, anche quest’anno la consegna avrà luogo con una cerimonia ufficiale che si terrà il 16 dicembre nella sede della massima istituzione dell’Unione europea, a Strasburgo. Il 22 ottobre scorso il prestigioso riconoscimento è stato assegnato al Coordinamento dell’opposizione democratica in Bielorussia, guidato da Svetlana Tikhanovskaya e composto da 10 persone, in maggioranza donne. Ma nella terna di proposte che i commissari europei, come sempre, avevano segnalato c’erano anche le due significative indicazioni dei per così dire “quasi” vincitori: gli attivisti del Guapinol, un pacifico e perseguitato comitato municipale honduregno di difesa del bene pubblico, e Najeeb Moussa Michaeel, l’arcivescovo caldeo di Mosul, in Irak.

Il comunicato ufficiale del Parlamento europeo spiega la motivazione della segnalazione raccontando come nelle concitate fasi dell’arrivo a Mosul dei miliziani dell’Isis, nel luglio 2014, mons. Moussa abbia aiutato «l’evacuazione di cristiani, siri e caldei, verso il Kurdistan irakeno e salvato oltre 800 manoscritti storici, che vanno dal 13mo al 19mo secolo. Questi manoscritti sono stati digitalizzati in un secondo momento ed esibiti al pubblico nel corso di mostre in Francia e Italia. Dal 1990 egli ha inoltre contribuito alla conservazione di oltre 8 mila volumi e di 35mila documenti della Chiesa orientale».

In un’intervista pubblicata lo scorso settembre dal sito web del Pime, mons. Moussa ricordava che a luglio 2014 i cristiani di Mosul e della Piana di Ninive ebbero poche ore per abbandonare ogni cosa e per tentare di raggiungere il Kurdistan: i miliziani dello Stato Islamico imposero loro (ma non solo a loro) di abbandonare le case e lasciare i propri beni o, in alternativa, di pagare la tassa di protezione, altrimenti sarebbero stati uccisi.

Durante la precipitosa fuga, ricordava il vescovo di Mosul nell’intervista: «I proiettili sibilavano sulle nostre teste mentre cercavamo riparo con le mani cariche dei preziosi volumi». E aggiungeva: «Perché i manoscritti e le persone si potessero salvare durante l’avanzata dei miliziani dell’Isis servivano molti piedi e molte mani. Ho chiesto a Dio, in quei momenti, di avere dieci piedi e dieci mani per salvare libri e persone, lui mi ha risposto mandandomi in soccorso molti giovani che mi hanno aiutato in questa missione».

Per quanto riguarda la segnalazione nella terna del premio Sakharov, ha detto fra l’altro: «la considero come una firma su ogni pagina di questi manoscritti» oltre che un ricordo «per le vittime innocenti, in particolare gli yazidi: un popolo pacifico, che ha dovuto affrontare una vera e propria tragedia e al quale mi sento particolarmente legato».

La situazione in Irak oggi non è migliorata molto, purtroppo. Lo Stato Islamico, com’è noto, è stato dichiararto sconfitto, ma i jihadisti dell’Isis non sono scomparsi (si ritiene che nell’Ambar e nel confinante deserto siriano di Badia se ne nascondano almeno 10 mila) e la situazione rimane politicamente e socialmente molto complicata, soprattuto a causa di interferenze da parte del vicino Iran, per la presenza di forti milizie armate filoiraniane e di basi militari statunitensi (circa 3 mila soldati). In un Paese che è tra i primi quattro al mondo per risorse petrolifere e di gas, la povertà riguarda oltre un terzo degli abitanti, secondo le stime dell’Onu, e il calo del Pil di quest’anno è stimato intorno al 9,7%, soprattutto a causa del Covid-19: secondo dati del 6 novembre i nuovi contagi sarebbero circa 3.500 al giorno e i contagiati dall’inizio quasi 500 mila, con più di 11 mila morti. In compenso rispetto a settembre (quando si registravano circa 5 mila nuovi contagi al giorno) la curva di diffusione del virus sembrerebbe in flessione.

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