Più dialogo per Baghdad

Si moltiplicano le analisi sulla situazione in Iraq e sui suoi riflessi nei paesi coinvolti. Più di una volta è stato evocato lo spettro del Vietnam, come già in passato a proposito dall’Afghanistan, quando fu preconizzato che sarebbe diventato una trappola per la Russia. Se ne riparla oggi a proposito dell’Iraq, nei riguardi degli Stati Uniti che pure già avevano conosciuto quell’umiliazione, ma che sembravano averla dimenticata o, comunque, digerita; e perciò non avevano avvisato il pericolo di un suo ripetersi. Forse perché, questa volta, avevano al seguito una scorta di ben trentatré paesi, fra cui alcuni importanti, come la Gran Bretagna, la Spagna, l’Italia, l’Australia, il Giappone. Ma soprattutto perché ritenevano, liberando l’Iraq da un feroce dittatore, di andare a portare in quel paese la democrazia e di meritare per ciò stesso i favori della popolazione. È stata, come s’è ben visto, una grande illusione.Un errore di prospettiva le cui conseguenze, col passare del tempo si sono andate via via ampliando. Sbagliato fondare la giustificazione del conflitto su prove non sufficientemente verificate. Sbagliato intraprendere le ostilità in totale disaccordo con una buona metà degli alleati europei. Sbagliata la valutazione dell’impatto che questo conflitto avrebbe avuto sull’intero mondo islamico. Sbagliato soprattutto ritenere di curare un male con un male peggiore. Tutte cose già dette, ridette e, se vogliamo, pure a lungo contraddette, ma sempre con minore convinzione. Tant’è che talune proposte, prima rifiutate quasi con scherno, si sono venute accreditando sempre più chiaramente. Prima fra queste la necessità di passare la mano all’Onu, perché sia questo organismo sovranazionale ad assumersi il compito della pacificazione in Iraq. È facile obiettare che spesso le precedenti esperienze di interventi dell’Onu in caso di forte conflittualità, dalla Bosnia al Kosovo, alla regione dei Grandi Laghi africani, a Timor est, hanno deluso: sotto gli occhi di impassibili caschi blu sono stati infatti perpetrati feroci massacri. Ma si può, anzi si deve sperare che proprio da quei fallimenti si sappiano trarre insegnamenti per il futuro. Non c’è alternativa. Anche se si potrà procedere soltanto a piccoli passi, lo si potrà fare unicamente su questo nuovo binario. Dunque l’auspicio è che si cambi rotta al più presto. E ciò non vuol dire che gli americani e gli altri dovranno o anche solo potranno andarsene domattina. Piuttosto si dovrà definire chi, e sotto quale bandiera, convenga che resti. Le proposte fatte al riguardo sono molte e assai differenziate. Ma perché ciò possa avvenire, neppure sono utili affermazioni che sembrano bruciare la poca fiducia che ancora resta in un intervento delle Nazioni Unite dichiarando, come ha fatto Zapatero, che lui all’Onu non ci crede proprio e che dunque conviene venirsene via subito dall’Iraq. Certo può essere impopolare restare in Iraq oggi, ma farlo a condizione che si definiscano termini certi per questo auspicato passaggio di consegne ha ancora un senso.Anche chi, come il papa, non ha cessato mai di condannare la guerra, esorta a non abbandonare il paese in balia del caos e delle vendette. La spaccatura che si è andata aprendo con l’intero mondo islamico, d’altra parte, non potrà venire ricomposta mai da una prova di forza. Il dialogo, almeno con quella parte dell’Islam che è disposta a farlo – e riteniamo che questa parte esista e sia più consistente di quanto si pensi -, può conoscere soltanto la strada del reciproco perdono e di una ritrovata stima. E infine, ma si dovrebbe dire, per cominciare, è indispensabile che pure l’Occidente rimargini le ferite che questi fatti hanno aperto al suo interno. Non c’è chi non veda come l’Europa sia divisa dietro la facciata rassicurante delle belle architetture istituzionali, giusto alla vigilia del proprio allargamento. Per non parlare delle spaccature dentro i singoli paesi fra schieramenti di governo e di opposizione. Come non vedere poi con preoccupazione il solco che si va approfondendo fra il Vecchio continente e quella parte esportata di esso che è l’America, ogni giorno più lontana? Sempre più spesso e da tante parti si sente parlare di coesione, di unione, di unità, ma è ben chiaro che si tratta solo di belle parole se non c’è chi cominci a rinunciare a qualche certezza. A iniziare dalle affermazioni roboanti di ieri per accettare le verità più scomode di oggi.

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