Padri che sono figli

«Era trasparenza di Gesù… Ti metteva in relazione con l'Abbà».
Arte

Si dice che la nostra è una società senza padri. E si snocciolano i sintomi evidenti e le rilevanti conseguenze di questo fatto: a livello psicologico, culturale e sociale. Mancano i modelli positivi e credibili, si precisa. Né c’è più la capacità, anche per questo, di prendere decisioni impegnative e definitive. Il guaio, soprattutto, è che questo indiscutibile vuoto è riempito da modelli di comportamento e di successo che alla fin fine si rivelano per quel che sono: idoli fasulli e ingannatori.

L’altro giorno, in una bella chiesa del centro di Torino, Sant’Agostino, ho partecipato alle esequie di don Giovanni Coccolo. È stato mio parroco, in quel di Cafasse, quand’ero ragazzino. Sette anni, trascorsi insieme, che restano incisi a caratteri indelebili nel libro della vita. Sono gli anni, tra i quindici e i ventuno, in cui si decidono gli orientamenti di fondo della propria avventura.

Ebbene, mentre partecipavo alla liturgia, mi si è fatto chiaro, d’un tratto, il perché, forse, questo prete così speciale nella sua normalità ha orientato tanti a scoprire la propria strada e molti di più a percorrere la loro.

Don Giovanni non era, per me come per tutti, un padre. Non l’ho mai sentito così. Era trasparenza di Gesù, il figlio. Ed era questo vivere da figlio, come Gesù, che senza quasi te n’accorgessi, ti metteva in relazione con l’Abbà, il Padre vero. Nell’amore concreto e personalissimo che ha per te.

Qui sta il punto. Nella società e nella Chiesa. In famiglia e nella scuola. Nel cammino esistenziale della vita e nella ricerca intellettuale della verità. Non abbiamo bisogno di padri. Di Padre – insegna Gesù – ce n’è uno e uno soltanto. Abbiamo bisogno di figli. Semplici e trasparenti, liberi e autorevoli. Che, proprio perché tali, sanno essere fratelli grandi e amici forti e generosi. Figli, dunque, che svolgono con competenza, generosità e distacco anche il compito di padri e di guida, quand’è loro richiesto.

Non è un caso che Gesù, quando invita a lasciar tutto e tutti per seguirlo, menzioni il padre, la madre, i fratelli, i campi, ma quando promette il centuplo che così ci si fa capaci di accogliere non parli più di padri. Lo diceva Chiara Lubich con cristallina incisività in uno scritto del ’46: «L’anima deve, sopra ogni cosa, puntare sempre lo sguardo nell’unico Padre di tanti figli. Poi guardare tutte le creature come figlie dell’unico Padre».

Che sotto sotto sia questo l’appello inespresso che ci viene da una società senza padri?

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