Non basta dire no alla guerra

Prove di interdipendenza. Il lord inglese, che ha viaggiato dall’India per giungere a Roma, si aggiusta il colletto, facendo scivolare le dita tra il collo e la camicia. Il suo volto si contrae in una smorfia, e non solo per il caldo afoso. Le notizie che giungono dalla Russia e dall’Iraq si intrecciano e si alimentano in modo drammatico, dando l’impressione che la politica internazionale sia prigioniera di una spirale negativa e che precipiti verso il basso. La politica – dice il lord inglese – appare oggi in caduta libera, risucchiata dall’inferno . Nell’attuale quadro dettato da una cronaca di terrore e di guerra, pensare di celebrare una giornata per l’interdipendenza è allo stesso tempo una sfida ed una provocazione. Il professor Benjamin Barber, politologo statunitense e teorico della democrazia, non si è lasciato vincere dalla logica della violenza e della forza che l’11 settembre ha scatenato nel mondo. Rivolgendosi in particolare alla gente che aveva invaso le vie delle grandi capitali mondiali per manifestare il suo no alla guerra, l’ex consigliere del presidente Bill Clinton sostiene che dire no alla guerra non basta. Bisogna costruire un’alternativa . Si è celebrata così lo scorso anno, il 12 settembre, a Filadelfia, la prima Giornata dell’interdipendenza. Nella città che ha visto la storica firma della dichiarazione di indipendenza, Barber aveva raccolto qualche centinaio di persone, per proporre questa volta una dichiarazione di interdipendenza. Per dire che oggi non è possibile affrontare mali e sfide globali, restandosene isolati o alzando mura. Per affermare la necessità di collaborare, di darsi la mano e navigare insieme, nelle acque incerte ed agitate dei nostri tempi. Ed è così che la seconda Giornata dell’Interdipendenza è approdata quest’anno a Roma, grazie all’iniziativa del sindaco di Roma Walter Veltroni, e di un gruppo eterogeneo di associazioni, quali Legambiente, Movimento politico per l’unità, Acli e Comunità di Sant’Egidio. I promotori hanno fatto propria l’idea di Barber, per continuare a cercare vie per costruire un’interdipendenza che non sia fatta di reti di terrore, ma al contrario di snodi di dialogo, di solidarietà, di collaborazione e di fraternità. Per questo la Giornata è stata preceduta la sera dell’11 settembre da un momento di preghiera e di riflessione interreligiosa, con leader delle grandi religioni, artisti, e circa 700 cittadini di Roma in Piazza del Campidoglio. Il card. Poupard, presidente del Pontificio consiglio per la cultura, al termine commentava: In questo momento di così grande tragedia nel mondo quello di questa sera è veramente segno forte ed eloquente di speranza. Donne e uomini di diverse religioni, di diverse culture, di diverse convinzioni, hanno ribadito che tutti siamo figli dello stesso Dio di amore e siamo chiamati tutti ad amare Dio ad amarci gli uni e gli altri. È stato un messaggio partecipato con amore. E proprio la fraternità, ideale incompiuto della modernità, nel convegno di Roma è emersa allo stesso tempo come la realtà da vivere fin da subito e l’orizzonte verso il quale ve- leggiare. A lanciare la proposta nella Sala Sinopoli dell’Auditorium della musica gremita da oltre mille persone, è stata la fondatrice dei Focolari Chiara Lubich (vedi box). L’appello è stato raccolto con grande favore in particolare dalla cinquantina di leader internazionali presenti alla conferenza: dall’ex primo ministro francese Rocard, all’ex presidente della Slovenia Kucan, a quello svizzero Dreifuss, allo statunitense Howard Dean, che aveva tentato la corsa verso la Casa bianca dichiarandosi contrario alla guerra in Iraq. Il messaggio della fraternità ha trovato riscontro nella Carta europea per le politiche dell’interdipendenza: le persone, i popoli, gli stati per un mondo più unito, sottoscritta dai promotori, la sera del 12 settembre. La Giornata dell’interdipendenza è diventata così un’occasione di incontro per tanti che hanno voluto manifestare la scelta del dialogo e della pace, abbandonando la tentazione di leggere la storia solo come uno scontro insanabile tra civiltà. Il sesto potere: la società civile Tanta gente, tanti giovani a fare da cassa di risonanza alla proposta di uno scenario nazionale e internazionale che si ordina su un nuovo concetto di interdipendenza, non solo una realtà di fatto che ci avvolge, ma anche una scelta consapevole e alternativa al terrorismo e alla guerra. Eppure, verrebbe da dire, nient’altro che un piccolo gruppo variopinto, se pensiamo alla partita in gioco. Vero, ma il potenziale espresso dalla Giornata dell’Interdipendenza non passa solo attraverso il numero delle presenze in sala, o le pagine dei giornali, su carta e on line, che ne hanno parlato. A venire in primo piano, ancora una volta, è stata la robusta tessitura dei movimenti che si sono fatti promotori in prima persona dell’evento, senza dimenticare la vitalità di tante altre articolazioni della società civile che in quello stesso giorno erano rappresentate dai loro delegati. Gente che da anni, spesso silenziosamente ma efficacemente, non smette di costruire interdipendenza nei fatti, e cioè legami sociali saldi – perché tu dipendi dalle mie scelte ed io dipendo dalle tue, e questo non lascia le cose come stanno -, trasversali rispetto alle ispirazioni ideologiche e transnazionali rispetto alle etnie e alle lingue, nutriti dalla coscienza di appartenere ad una sola famiglia umana. Da qualche tempo non è raro sentir parlare di sesto potere per indicare la capacità di influenza di cui è portatrice la società civile. Il reticolo delle sue organizzazioni e dei suoi nodi locali diffusi si dimostra, infatti, capace di animare le più varie realtà del sociale, di alzare la voce per controllare e respingere, rivendicare e boicottare, ma anche di dar luogo a fatti concreti e duraturi, di anticipare contenuti e scelte in grado di determinare l’agenda delle istituzioni. In altre parole, capace di produrre cambiamento, quella modificazione sostanziale delle pratiche sociali e istituzionali che la transizione in atto reclama. Parliamo di un potere dal basso, che negli ultimi anni si è andato esprimendo in forme consistenti. Gruppi sociali che si richiamano a valori alti, ma trovano maggior forza proprio a confronto con le questioni più vive dell’attualità, con uno sforzo creativo proporzionato alle domande. Anche per questo, la serata dell’11 settembre, in piazza del Campidoglio, si è trasformata in un appello e in un impegno per la liberazione delle due Simone, di Ra’ad e Mhanaz. Si tratta di espressioni sociali che specializzano la loro risposta in settori diversi, secondo vocazioni specifiche, ma che sempre di più scelgono la dimensione del noi dando vita ad una rete di reti, di cui la Giornata dell’Interdipendenza è stata una esplicita manifestazione. Prova ne è anche la firma congiunta della Carta europea delle politiche per l’Interdipendenza, con i suoi cinque coraggiosi impegni: 1. il dovere di respingere ogni forma di violenza e il diritto alla sicurezza globale, 2. il dovere di accoglienza e i diritti della persona migrante, 3. il dovere di assicurare cibo a tutti e il diritto ad una vita dignitosa, 4. il dovere di prendersi cura dei malati di Aids ed il diritto alla salute, 5. il dovere di tutelare l’ambiente e il diritto all’acqua potabile. A conferma ulteriore di questa novità nello stile di azione, il fatto che sia già in programma, a fine mese, il prossimo incontro tra i promotori della Giornata per proseguire nell’impegno INTERDIPENDENZA FRATERNA Stralci dal discorso di Chiara Lubich La realtà dell’interdipendenza richiama nell’animo di molti l’urgenza e la necessità di quell’ideale per il quale persone di buona volontà, sparse in tutto il mondo, hanno deciso di spendere la vita: concorrere a realizzare la fraternità universale, per la quale si attua l’unità della famiglia umana. Sì, perché interdipendenza significa rapporto di connessione reciproca tra due realtà che si condizionano a vicenda. Rapporto che non si potrà attuare alla perfezione, fra i singoli e fra gli stati, se non sarà caratterizzato dal rispetto reciproco, dalla comprensione vicendevole, dal saper far posto gli uni e gli altri alle difficoltà, ai problemi e alle realtà altrui, all’accoglienza dei rispettivi doni. In pratica dal mutuo amore così come si vive tra fratelli veri. L’interdipendenza fraterna comporta infatti la scelta del dialogo rispetto a quella dell’egemonia, la via della condivisione rispetto a quella della concentrazione di risorse e dei saperi in una sola area del mondo. L’interdipendenza fraterna è davvero mutua dipendenza, perché implica che l’affermazione della mia identità non può avvenire né per difesa, né per opposizione, ma si raggiunge attraverso la comunione: delle risorse, delle virtù civiche, delle caratteristiche culturali, delle esperienze politico- istituzionali (…). Vivificata dalla fraternità, l’interdipendenza, da semplice fatto o strumento, potrà diventare motore di processi positivi. Essa potrà diventare dono per tutti e prospettiva strategica per il bene non di un solo popolo, ma di tutta l’umanità. Dopo millenni di storia in cui si sono sperimentati i frutti della violenza e dell’odio, abbiamo tutto il diritto oggi di chiedere che l’umanità cominci a sperimentare quali potranno essere i frutti dell’amore. E non solo dell’amore fra i singoli, ma anche di quello fra i popoli HANNO DETTO Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni unite: A livello globale, lo strumento più importante che gli stati hanno per governare l’interdipendenza sono le Nazioni unite. Non è certo una organizzazione perfetta. Però è il luogo della legittimità internazionale, e deve essere il centro vitale di azioni multilaterali. Walter Veltroni, sindaco di Roma: Le istituzioni hanno bisogno di avere presenze sociali molto forti e molto radicate e i movimenti e le organizzazioni della società civile che qui si sono espresse sono la realizzazione di una unità tra convinzioni religiose per qualcuno, convinzioni civili per tutti, e valori alti che insieme aiutano un’amministrazione una comunità a vivere meglio; per cui questa è la formula di una governance moderna. Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera dei deputati: Riconoscere l’interdipendenza dei popoli e delle nazioni non significa solamente riaffermare la responsabilità comune di tutti gli uomini di buona volontà nei riguardi del futuro della famiglia umana. Significa soprattutto indicare la strada maestra per guidare questo cammino nella giusta direzione: quella della tolleranza, del rispetto reciproco, del dialogo, dei diritti umani e della solidarietà. Romano Prodi, presidente della Commissione europea: Sappiamo quale sia la via da seguire: unità nella diversità, dialogo tra le culture, messa in comune delle risorse, azioni congiunte. Dobbiamo promuovere questi valori a livello globale, poiché non esiste alternativa se vogliamo assicurare stabilità, sviluppo e pace. Luigi Bobba, presidente nazionale Acli: Fraternità: è un altro modo per dire interdipendenza e per dire che senza la fraternità anche la politica rischia di essere vuota e invece una politica di fraternità può cambiare le cose. Roberto Della Seta, presidente Legambiente: Le quattro organizzazioni che hanno promosso questa seconda Giornata dell’interdipendenza hanno scelto di unirsi perché noi siamo convinti che nell’unione la propria identità può trovare più forza, più fondamento nel dialogo, nello scambio, anche nella contaminazione con gli altri. Il proprio contributo può diventare più prezioso. IL PUNTO DI VISTA DI UN GIOVANE Rainer Gude ha 21 anni ed è un giovane dei Focolari, che a New York ha lavorato accanto al professor Benjamin Barber nella preparazione della Giornata dell’interdipendenza. Ho scelto di vivere e di lavorare per un mondo unito. È questa convinzione che è stata sempre alla base del mio lavoro con Barber in questi mesi. Fin dall’inizio, infatti, ho visto in questa giornata l’opportunità di far incontrare gente e gruppi diversi per costruire ponti in un mondo che appare diviso.Venendo dagli Stati Uniti, dove l’idea dell’indipendenza è molto valorizzata, ho visto quanto era importante offrire una visione per guardare al mondo in modo diverso. Purtroppo, dopo l’11 settembre, la nozione di indipendenza negli Stati Uniti è stata contaminata dalla paura e dalla confusione. Abbiamo perso l’opportunità di costruire pace e giustizia sulle rovine di Ground Zero, per il millennio a venire.Abbiamo scelto la guerra. Io, insieme con tanti altri, sono in pieno disaccordo con questa scelta. Pur se molti si sentono minacciati da un mondo interdipendente e dalle sue diversità, io credo che un altro mondo sia possibile: un mondo più unito. L’evento che abbiamo celebrato a Roma è stato solo un inizio. Ma se facciamo buon uso di questa giornata, e dei suoi valori, una semplice possibilità si trasformerà in una concreta realtà.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons