“Nel Belice aiutammo persone disperate”

Intervista ad Umberto Bellini, comandante dei carabinieri in pensione, che 50 anni fa prestò soccorso alle popolazioni devastate dal sisma che colpì la Sicilia occidentale, tra Agrigento, Trapani e Palermo.

«Quando arrivammo a Montevago, uno dei centri più colpiti dal terremoto della valle del Belice, c’erano solo macerie. Le persone piangevano, la disperazione era tangibile. Noi cercammo di aiutare tirando fuori dalle macerie i morti e le poche cose che si erano salvate». Umberto Bellini era un giovane carabiniere di 19 anni quando, nel 1968, si recò volontario in Sicilia, la sua terra, per soccorrere le popolazioni vittime del terremoto che si era verificato tra Agrigento, Trapani e Palermo. Un sisma devastante, che provocò centinaia di morti e feriti, migliaia di senzatetto e interi paesi rasi al suolo nella parte occidentale dell’isola.

foto-umberto-bellini50 anni dopo, Bellini è ormai in pensione. Già comandante di Stazione, nella sua città – Somma Vesuviana – è stato per anni un simbolo di legalità. Si dice che i frutti non cadano mai lontano dall’albero e anche in questo caso è stato così. Sposato con Antonella, hanno due figli: Gabriella, premiata con la medaglia del presidente della Repubblica per il suo lavoro di cronista in una terra difficile, e Daniele, speaker ufficiale del Napoli calcio. E proprio con loro, in questi giorni, ha ricordato quei soccorsi prestati 50 anni fa, per i quali ricevette anche una medaglia dal ministero della Difesa.

Comandante, dove lavorava quando ci fu il terremoto del Belice?
Da carabiniere semplice nel settembre 1967 fui assegnato, in qualità di motociclista, alla Compagnia motocorazzata di Pomigliano d’Arco, dipendente dal X Battaglione di Napoli. Quando si verificò il terremoto nel Belice, fummo allertati perché si doveva partire nel giro di qualche giorno. Essendo della provincia di Trapani, ero direttamente interessato ai fatti che stavano accadendo, anche perché all’epoca non c’erano i telefonini per potersi sentire tranquillamente con i familiari.

E così, partiste per la Sicilia…
Insieme ad altri colleghi siciliani ci offrimmo volontari. Due giorni dopo partimmo da Napoli con la nave e arrivammo sul posto il terzo giorno dopo il terremoto.

umberto-bellini-presta-soccorso-tra-i-terremotati-della-valle-del-beliceCosa trovaste?
Noi andammo a Montevago, in provincia di Agrigento, uno dei centri più colpiti dal sisma. Era un territorio agricolo e le case erano vecchie, costruite senza cemento. Le strade erano quasi tutte impraticabili. Noi avevamo formato una colonna di automezzi con carichi di materiali per aiutare la gente, ma quando arrivammo non c’era più nulla. Era tutto distrutto. Sul posto c’era già molta gente che stava lavorando, ma pochissime case erano agibili e i morti erano tanti.

I sopravvissuti dove dormivano?
Nelle tende portate dai militari, ma non c’erano le comodità di oggi. Si viveva in condizioni penose, senza bagni. Era veramente difficile. Noi andavamo nelle case, che erano organizzate a gruppi, come masserie con le stalle all’interno, e cercavamo di tirar fuori tutto il possibile. Spostavamo anche le pietre per far uscire gli animali ancora vivi per farli pascolare.

Come eravate sistemati?
Eravamo alloggiati sotto le tende, ma il freddo era forte – era gennaio – e non avevamo attrezzature per coprirci. Si mangiava con la cucina da campo, quel poco che si poteva preparare anche per le persone del posto. Dormivamo su materassini gonfiabili poggiati per terra e sentivamo il terreno muoversi sotto la nostra schiena, perché le scosse continuarono per parecchio tempo.

La sua famiglia era stata colpita?
Monte Vago distava 60, 70 chilometri dalla casa dei miei genitori. Appena fu possibile, andai da loro con una serie di passaggi, perché a quel tempo era difficile spostarsi. Per fortuna dalle parti di Trapani non ci furono danni.

Quanto tempo rimaneste a Montevago?
Una quarantina di giorni, poi ricevemmo il cambio dai militari di un altro Battaglione di Napoli, perché non eravamo attrezzati per restare ancora.

Cosa ricorda di quei giorni?
Ricordo che ovunque guardavamo c’erano persone che piangevano perché avevano perso tutto. Erano disperati e quella disperazione era tangibile. C’erano persone che camminavano raccogliendo ciò che potevano e ripetevano: “Non ho più nulla! Non ho più nulla!”.

medaglia-ricevuta-da-umberto-belliniPer quell’intervento lei ha ricevuto una medaglia…
Tutti i militari che hanno fatto parte dei soccorsi hanno ricevuto una medaglia. A me l’hanno consegnata un bel po’ di anni dopo, l’11 marzo del 1988, quando ero già diventato maresciallo. Adesso i tempi sono cambiati, ma mi auguro davvero che nessuno si trovi più in quelle condizioni disperate, quando tante persone persero tutto e non avevano da mangiare né un posto per andare al bagno.

Cambiando argomento, lei è stato un modello e un monito per i ragazzi del suo paese. Cosa pensa si potrebbe fare per arginare il fenomeno delle “baby gang” protagoniste di tante aggressioni ai danni di minori nel napoletano?
A parte quello che stanno già facendo e faranno le forze dell’ordine, credo che si debba partire dalle famiglie, perché tutto dipende da loro. Non è possibile che ragazzini di 11, 12 e 13 anni vadano in giro a commettere queste cose. Bisognerebbe guardare all’interno delle nostre case, perché è lì che forse si sbaglia. I carabinieri lavorano bene, ma sappiamo com’è difficile controllare la Circumvesuviana, il porto, altri luoghi a rischio… C’è bisogno dell’intervento dei familiari ed è anche necessario che chi vede qualcosa abbia il coraggio e l’onestà di informare subito le forze dell’ordine. L’omertà oggi non paga!

 

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