Natale donarsi nel villaggio globale

Accalcato sull’autobus nell’ora di punta, non posso fare a meno di ascoltare la conversazione che due amiche intrattengono fra loro ad alta voce. Persone che non distingueresti dalla folla di impiegati Rai o di ministeriali che raggiungono i propri uffici ogni mattina. “Presto sarà Natale: dove andrete? Io me ne tornerò qualche giorno al sole delle Antille”. “Noi, questa volta, si va un po’ più lontano: ormai tocca alla Polinesia “. Mi rendo conto che forse non si tratta di impiegatucce dei piani bassi. O forse no, perché so di pensionate che, per non essere da meno delle loro amiche, per potersi permettere questi viaggi, lesinano sulla spesa tutto l’anno. Come del resto non hanno l’aria di sceicchi in vacanza le folle di giapponesi che visitano regolarmente il nostro paese. È la società del consumo, penso fra me e me, che sopravvive a dispetto dei pronostici neri che ho appena ascoltato al telegiornale, preannuncianti un Natale povero di regali; ma che invitano senza mezzi termini a non risparmiare, perché la macchina della produzione, visibilmente stagnante, possa rimettersi in moto. Certo non so quando potrà ripartire questa macchina in panne, ma ai regali di Natale, soprattutto a quelli fatui, a quanto sto vedendo, non credo che ancora gli italiani sapranno rinunciare. Ed è proprio pensando ai regali di Natale che riemergono ricordi lontani. C’è la guerra. La strada è innevata. Fa freddo. Il sole sorgerà fra un’ora appena ed io porto ancora i pantaloni corti, ma sono imbacuccato da una sciarpa tre volte più lunga di me.Trotterello dietro a mio padre portando una cassettina sotto braccio. Lui ne porta tre o quattro sulle spalle. È la vigilia di Natale ed ha iniziato la distribuzione dei regali. Se i destinatari abitano vicino, si va a piedi. Se abitano lontano si attacca il cavallo. È un rito, che si ripete ogni anno, al quale debbo partecipare. Da giorni, ma dovrei dire da notti, lo ha preannunciato il picchiettare ritmico di un martello che sale dalla cantina svegliandomi quando ancora non sono le quattro. Mio padre sta costruendo con le sue mani le cassettine per i regali.Anche il pioppo da cui sono state ricavate le assicelle, lo ha fatto abbattere apposta. E il vino, il salame, il pollo e la frutta che metterà dentro quelle cassette saranno fattura sua. Destinatari sono i poveri: vecchi rimasti soli, o vedove di guerra cui lo stato non sa provvedere, ma che, in paese, non vengono abbandonati. Domani, al pranzo di Natale, le stesse cose compariranno sulla nostra mensa, e in mezzo a noi siederanno qualche parente meno fortunato e qualche soldato del vicino ospedale militare che, per quel giorno, avrà trovato una famiglia adottiva; e che, parlandoci della sua, non saprà nascondere le lacrime. Questo è il senso lontano del mio “Natale con i tuoi”. Ma il ricordo non è sbiadito affatto e ancora oggi per me quegli episodi conservano un profondo significato. Passare dal mio villaggio innevato, ancora impostato sui valori cristiani di una civiltà contadina, al villaggio globale non è piccolo salto. Penso alle folle in tumulto dei cassaintegrandi Fiat, alle loro famiglie che, al sud, non sono ancora quelle del figlio unico. Gente i cui lunghi viaggi, fino a ieri, erano consistiti nell’estenuante ritorno natalizio dalla Germania, perché “Natale con i tuoi” era l’imperativo. Finché per alcuni di loro il lavoro non era arrivato sotto casa. Ma adesso tutto potrebbe tornare come prima. E penso alle moltitudini, ancora più disperate, dei nuovi flussi migratori, che rischiando la vita affollano le carrette del mare attratte dal miraggio di un benessere che forse non troveranno. Eppure, ancora ritorna Natale per noi e per loro. Non c’è più la civiltà contadina con la sua cultura povera e accogliente.Ma, al presente, non c’è nemmeno la guerra di quegli anni – Dio scampi che non ce ne inventiamo un’altra -; e ci sono decine, forse centinaia di migliaia di giovani e meno giovani disposti a volare oltre le frontiere del turismo di massa a prodigarsi, nei paesi della fame e dell’Aids, per i più poveri di oggi, che sono milioni. Donare, mi ricorda un amico che ha fatto quell’esperienza, è soprattutto donarsi. Anche nel villaggio globale è possibile fare un regalo di Natale di inestimabile valore, e lo può fare chiunque: è il dono di sé.

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