Marocco: un papa in mezzo agli imam

Il coraggio di Bergoglio è guidato da un’idea di Chiesa: «Siamo cristiani perché siamo stati amati e incontrati, e non frutto di proselitismo». L'appello a preservare la città santa di Gerusalemme come patrimonio comune dell'umanità.

Il viaggio di meno di 48 ore di papa Francesco in Marocco, lo scorso week-end, è qualcosa di straordinario e grande, oppure di incredibilmente scandaloso? Non mi soffermo sulla cronaca del viaggio, disponibile ovunque. Mi faccio invece provocare da quello che è successo, tenendo presente che quello che per me (e molti altri) è certamente qualcosa di straordinario e grande, segno dello Spirito che interpella la Chiesa, per altri cristiani è purtroppo fonte di rabbia, orrore, sdegno. Così commenta, per esempio, uno di loro su un famoso social: «Questo sarebbe un papa cristiano? È uno scandalo che occupi un posto come quello! Traditore!».

Un papa che ritiene importante dialogare sinceramente con i credenti della seconda più diffusa fede al mondo e addirittura firmare un appello comune con il “comandante dei credenti” musulmani, il re Mohammed VI del Marocco? Ma la notizia più incredibile è la visita di papa Francesco alla scuola per imam, predicatori e predicatrici, presenti il re (il comandante dei credenti di cui sopra), il ministro degli affari religiosi, il direttore dell’Istituto di formazione islamica e il presidente del Consiglio degli ulema. Cose da pazzi? Non c’è più religione?

Dipende. Dipende da cosa è per me, per noi, per i credenti, l’appartenenza religiosa, e in fondo che cos’è per me la Chiesa. Per parafrasare due importanti passaggi del Credo latino, quello che si recita la domenica alla messa: noi siamo chiamati a credere in Dio uno e trino (credo in unum deum), ma non a crederenella” Chiesa, bensì a credere “la” chiesa (et unam ecclesiam) una, santa, universale e apostolica.

Fa molta differenza: perché se “credo nella chiesa”, sono io il soggetto che la definisce e tutto mi deluderà, papa compreso; ma se “credo la chiesa”, è la chiesa che mi rivela se stessa e io mi impegnerò con tutte le forze e la passione per aiutarla ad essere autenticamente una, santa, universale e apostolica, anche se talvolta o spesso mi può deludere. È un po’ quello che in altri termini il papa ha detto ai cristiani nella cattedrale di Rabat: «Essere cristiano non è aderire a una dottrina, né a un tempio, né a un gruppo etnico. Essere cristiano è un incontro. Siamo cristiani perché siamo stati amati e incontrati e non frutti di proselitismo».

E in questa apertura all’incontro con Dio si può anche scoprire che non siamo soli: per fare un esempio relativo alla visita di papa Francesco alla scuola per imam, predicatori e predicatrici (anche le donne!) islamici, sorprende positivamente scoprire che sono stati eseguiti per gli ospiti brani musicali della tradizione cristiana, musulmana ed ebraica (addirittura!) e che la scuola è stata voluta dal re Mohammed VI per formare futuri imam ad un Islam tollerante e in dialogo. In questa prospettiva trovo molto significativo, anche a livello civile e politico, oltre che religioso, l’appello su Gerusalemme firmato insieme a Rabat dal papa e dal re del Marocco. Vi è scritto: «Preservare la città santa di Gerusalemme come patrimonio comune dell’umanità e soprattutto per i fedeli delle tre religioni monoteiste, come luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica». E prosegue: «Devono essere conservati e promossi il carattere specifico multi-religioso, la dimensione spirituale e la peculiare identità culturale di Gerusalemme», chiedendo che «nella città santa siano garantiti la piena libertà di accesso ai fedeli delle tre religioni monoteiste e il diritto di ciascuna di esercitarvi il proprio culto».

Un altro momento di grande valore e profezia sono stati gli incontri con i cristiani (alla messa erano presenti in 10 mila, di 60 nazionalità). I cristiani sono rispettati in Marocco, tanto che le suore spagnole sono molto apprezzate nella gestione di un’attività sociale per migranti e poveri. Così papa Francesco non ha perso l’occasione per far visita, a Tèmara, al Centro rurale di servizi sociali gestito dalle Figlie della carità di San Vincenzo. Uno degli aspetti concreti del dialogo, il più incisivo, è costituito dalle 15 scuole cattoliche frequentate da 12 mila studenti, in gran parte musulmani, come pure musulmani sono molti dei docenti che vi lavorano. E c’è un intenso impegno comune per la formazione, la salute, la promozione sociale, l’emancipazione della donna e l’abolizione del lavoro minorile.

Una nota speciale merita il dialogo ecumenico: anche i cristiani di altre confessioni erano presenti all’incontro con il papa in cattedrale. Il Consiglio ecumenico delle Chiese, con i protestanti, le piccole comunità di ortodossi e di anglicani, ha fondato il centro ecumenico Al Mowafaqa, presieduto dall’arcivescovo e dalla pastora protestante, per lo studio di una teologia attenta al dialogo con i musulmani.

 

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