Maria Goretti

Ha vinto la scommessa Giulio Base, dirigendo per Raifiction e Lux Vide uno sceneggiato su una santa e per di più “scomoda” come Maria Goretti. Perché se anche di personaggi popolari come papa Giovanni e padre Pio – la cui audience era assicurata – il rischio era l’agiografia sentimentale o il moralismo, immaginarsi con la ragazzina martire nel 1902, canonizzata nel 1950, indicata come modello alla gioventù cattolica ma anche “demitizzata” duramente negli anni Ottanta da una (rancorosa) biografia di Giordano Bruno Guerri. Invece Base, con un lavoro storicamente documentato, sceneggiato agilmente e interpretato con assoluta naturalezza dagli attori, ha presentato la storia di una ragazza luminosa e forte, gioiosa e determinata a vincere nel quotidiano l’odio – “il male peggiore della malaria” – con una religiosità che l’educazione familiare portava spontaneamente all’amore, in un contesto sociale duro e pesante, evidenziato con precisa sintesi dalla fiction. Per cui il “martirio” ed il perdono” appaiono l’esito, per quanto eroico, naturale di un percorso di fede semplice ma sicuro. Gran merito dell’esito felice va alla protagonista, la tredicenne Martina Pinto, identificatasi luminosamente con Maria, e al coprotagonista, la giovane promessa Fabrizio Bucci (Alessandro Serenelli, l’omicida), insieme ad un cast di rilievo, fra cui spiccavano Luisa Ranieri (la madre Assunta) e Flavio Insinna, come padre Basilio, figura di un prete solidale con l’emarginazione, conquistato nei suoi dubbi dalla testimonianza di Maria. Prezioso poi il cammeo di Claudia Koll, interprete molto intensa della contessa Mazzoleni, la prima a comprendere la santità della ragazzina. Commovente in più punti per la verità – anche drammatica – del racconto, il lavoro di Base resta un felice esempio di fiction che indaga, senza oleografie, il percorso sempre attuale della “santità”.

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