Argentina: mandato di arresto per Cristina Kirchner

L’accusa è di alto tradimento, commesso nel firmare un memorandum d’intesa con l’Iran che favoriva i presunti autori dell’attentato dinamitardo contro una istituzione ebraica nel 1994. L’Argentina avvolta da un permanente clima di sospetto

Per il giudice inquirente Claudio Bonadio non ci sono dubbi: la ex presidente Cristina Kirchner stipulò con l’Iran un memorandum d’intesa che di fatto neutralizzava la pista iraniana nelle indagini sull’attentato contro l’istituzione ebraica Amia, perpetrato nel 1994, causando 85 morti e centinaia di feriti, al solo scopo di ottenere in cambio aiuti finanziari per circa 10 miliardi di dollari. Per tale motivo, nel quadro del processo da lui istruito, ha emesso l’ordine di arresto contro la ex presidente, il suo ex ministro degli Esteri, e vari altri funzionari del suo governo ed operatori politici che collaborarono nei contatti con l’Iran.

La notizia ha messo a soqquadro lo scenario politico del Paese, dove un numero crescente di funzionari del governo della Kirchner, dal vicepresidente a vari ministri e sottosegretari, sono in stato arresto e sotto processo per reati legati a casi di corruzione o di malversazione di fondi pubblici. Accuse dalle quali non si salva nemmeno la ex presidente e la sua famiglia.

Ma in questo caso, siamo di fronte a una accusa ancora più grave quella di tradimento alla patria. Nel 1992 e nel 1994, l’Argentina venne sconvolta dagli unici due attentati di terrorismo internazionale registrati in America latina. Due attentati dinamitardi realizzati ai danni della comunità ebraica: l’Ambasciata di Israele e la organizzazione mutualista Amia. In totale più di cento morti. Gli attentati non vennero mai rivendicati e le indagini cominciarono a impastoiarsi in una zona grigia e paludosa, con depistaggi dei servizi segreti, della polizia locale e di giudici compiacenti. Uno di questi, è stato destituito proprio per le ostruzioni commesse durante le indagini.

La pista più accreditata conduceva fino a Teheran, e l’Interpol considerò plausibile la diffusione di un mandato di cattura spiccato contro vari ex funzionari diplomatici iraniani in Argentina. Il governo iraniano si rifiutò sistematicamente di collaborare con le indagini e men che meno di mettere a disposizione della giustizia argentina i funzionari accusati. La svolta fu nel 2013, quando nel giro di pochi giorni, l’Argentina firmò un memorandum d’intesa che a giudizio dell’avvocato Alberto Nisman invece di favorire le indagini praticamente le neutralizzava. Una denuncia che nel gennaio 2015 Nisman era sul punto di formulare quando venne rinvenuto morto nel proprio appartamento. Nel mezzo di un pasticciaccio brutto, si passò dall’ipotesi di suicidio alla prova finale di un omicidio. Bonadio, ha proseguito l’ipotesi sostenuta da Nisman.

Per Cristina Kirchner si tratta di una persecuzione politica, di una causa inventata, ed ha già annunciato che ricorrerà anche agli organismi internazionali per difendersi da tale accusa. Bonadio, da parte sua, ha raccolto 600 pagine di documenti che proverebbero la creazione di un memorandum scritto praticamente dagli stessi iraniani. L’ex ministro degli Esteri, Héctor Timmerman, una persona estranea al mondo diplomatico e senza preparazione universitaria, sostiene di aver redatto personalmente il testo insieme a un diplomatico iraniano. Ma non vi sono evidenze di applicazione del protocollo normale adottato in questi casi: consulenze di esperti in diritto internazionale, pareri dei vari uffici tecnici del ministero, e dei quali restano sempre copie di archivio. Il memorandum non venne mai applicato.

Gli elementi in mano al giudice, la fretta con la quale apparve il testo da far approvare in Parlamento, il mistero intorno alla sua redazione, fanno supporre l’interesse di ottenere un appoggio finanziario in quel momento necessario.

Le opinioni in merito sono divise. Una parte della giurisprudenza segnala una esagerazione da parte del giudice nell’emissione di tanti mandati di cattura, senza che se ne apprezzi la necessità. Di tutti i processi aperti contro la ex presidente, è questo forse quello giuridicamente più debole. Come provare che un atto di natura squisitamente politica possa configurarsi come un tradimento alla patria?

Tra le file del kirchnerismo si stigmatizza il governo di Maurizio Macri, che avrebbe dato l’ok per la denuncia. In realtà, sul piano del realismo politico, al presidente Macri conviene che la Kircher continui ad essere una figura scomoda per il peronismo, di cui fa parte. Le denunce che fioccano contro di lei la rendono una pietra di divisione al punto che in parlamento il suo gruppo parlamentare è separato e sempre più peronisti prendono le distanze dal suo settore. Ma la richiesta di autorizzazione a procedere ha ricevuto un immediato “no” da parte del peronismo che in questo frangente si è unito immediatamente. Cosa che al governo giova ben poco. Siamo allora di fronte a una decisione presa in solitario dal giudice?

Il clima di sospetto in Argentina è moneta comune. La polarizzazione politica è penetrata nei gangli della società, per cui è difficile analizzare senza attribuire anche secondi e terzi fini a ogni decisione. Le stesse istituzioni hanno sofferto tali picconate ideologiche; pertanto la giustizia, i partiti, il governo, ma anche la stessa società civile e i media perseguono spesso interessi settoriali, talvolta occultati dietro le dichiarazioni pour la galerie. In un clima del genere, la “ragione” ce l’ha chi momentaneamente ha la maggioranza dei voti. Il problema è che in questo modo è difficile, anzi impossibile, costruire una base di fiducia che consenta di edificare quei beni comuni che sono le fondamenta di una democrazia.

La conseguenza e un’eterna rifondazione del Paese ad ogni cambio di maggioranza, senza che venga accumulato un capitale di beni comuni.

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