Madre teresa di Calcutta

Chissà se Madre Teresa ha mai avuto tempo di guardare un po’ di tv. C’è da dubitarne. D’altronde sembra improbabile che ci sia mai stato spazio per un piccolo schermo nelle case gestite dalle Missionarie della Carità. Eppure proprio Mamma Rai ha permesso ad un italiano su cinque di accostarsi al mistero della santità della suora albanese. È il miracolo della tv ben fatta: spezzare i pani e i pesci della fede per una moltitudine di spettatori, molti dei quali a digiuno, e da tempo, di religione. Come nel passo evangelico anche qui, al termine della distribuzione, tornano sempre indietro canestri stracolmi di vivande in sovrappiù. Sono cesti pieni di super ascolti, ma spesso carichi anche di echi positivi nelle anime di chi ha appreso la novità della Buona Novella via tubo catodico. L’Auditel dice che la fiction su Madre Teresa è entrata nella top five dei film a tema sacro presentati negli ultimi tempi. Solo Padre Pio, Papa Giovanni e Jesus hanno fatto meglio. Si farebbe però uno sgarbo alla fiction sulla suora che santificò la sua vita sui marciapiedi di Calcutta, rubricandola nel settore dei “film di chiesa”, un filone in termini di audience molto appetibile, ma dal punto di vista artistico ritenuto talvolta una variante moderna del catechismo. Insomma poco più che una divulgazione. Il film in due puntate prodotto dalla Lux Vide ha invece una sua forza e una sua dignità. La sua cifra stilistica è la luminosità. Una luce diffusa che fin dalle prime scene avvolge la sua protagonista (la bravissima Olivia Hussey, già Giulietta con Zeffirelli). Un candore e un bagliore che in alcuni momenti appaiono addirittura eccessivi: la vita di una santa di strada avrebbe forse richiesto colori più sporchi, meno levigati, riprese meno rotonde e più da presa diretta. Trattasi di peccato veniale però, perché per il resto il film riesce a non farsi prendere la mano dall’eccezionalità della vita di Madre Teresa. La fiction coinvolge e suscita emozioni, insegna la carità e l’amore ai poveri, detta le linee di un dialogo con chi professa una fede diversa secondo una logica che diventa dirompente in tempi in cui si prospetta “la guerra di religione”. Uno sceneggiato avvincente che scava nel profondo e induce all’ammirazione (perché no, anche all’imitazione) di questa “matita di Dio”, santa dei nostri tempi.

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