Madre e maestra di vita

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Chi è stata, chi è per te Chiara e come immagini il dopo? Sono le domande rivolte a caldo, all’indomani della sua partenza, ad alcuni tra i primi compagni della Lubich: Bruna Tomasi, Marco Tecilla, Aldo Stedile e Doriana Zamboni Armonia di umano e divino Una madre. Come una madre ha generato la propria creatura, Chiara mi è stata madre perché mi ha dato la vita, ma una vita in Dio. Mi ha mostrato un cristianesimo nuovo, vivo, vissuto in maniera collettiva. Ha ripresentato certi aspetti del messaggio evangelico già approfonditi dai Padri della Chiesa, ma non diventati poi prassi concreta così come li pensava Gesù. Fra i tanti, un episodio. Ero ai primi passi in questo nuovo ideale ed ero piena di perplessità. Personalmente, mi aveva sempre fatto paura il patire, la croce. E un giorno lo confidai con Chiara. Ma tu – mi rispose – non guardare alla croce, guarda a Gesù sulla croce. E lui è l’Amore. Intendeva dire: non fermarti allo strumento del patire, guarda a colui che, assumendo la sofferenza, l’ha trasformata in amore, in redenzione. Questa risposta così semplice mi è stata di orientamento sempre, specie nei momenti in cui si è affacciato il dolore. Con lei ho vissuto dodici anni, prima di andare altrove per altri incarichi: l’esperienza di una vita tutta coerente col vangelo, di perfezione nella carità, nella quale io trovavo armonizzati l’umano e il divino. Bastava chiedersi cosa avrebbe detto o fatto Chiara nella tal circostanza per sapere come muoversi. Era il modello di una creatura che rivive Gesù, che rivive Maria. In seguito, nel visitare alcuni dei nostri centri in Germania, mi è capitato di dire alle focolarine: Scusate, ma ancora non siamo quello che Chiara ci vorrebbe qui!. Era perché io avevo fatto quell’esperienza e loro no. Si direbbe quindi che pretendevo; ma in fondo sentivo che era un desiderio anche loro essere quella realtà, giungere a quel livello di carità. Il dono ricevuto da Chiara è una vita che ti riempie di gioia, ti fa superare ogni difficoltà, ti fa sempre puntare all’essenziale, Dio, senza perderti in rigagnoli. Di qui, per lei una riconoscenza infinita e al tempo stesso tutta la responsabilità di vivere quanto mi ha sempre insegnato. Giorni fa, mentre eravamo tutti in ansia per la sua vita, mi ha attraversato la mente un pensiero: Senza Chiara il mondo rimarrebbe più povero, perdendo con lei una sorgente che ha saputo dare tanto all’umanità e alla Chiesa. Stamani poi, venendo a sapere che era partita, ho provato un attimo di smarrimento; ma appena sola, mi è venuto spontaneo dirle: Tu ci sei più di prima, mi ascolti, io posso parlare con te!. E mi sembrava di ritrovare con lei un rapporto come quando era qui, né più né meno. È un rapporto in Dio, che continua. Sì, Chiara ci aiuterà ancora a portare avanti la sua Opera, a mantenere la carità fra di noi, ad essere uno in Cristo. Bruna Tomasi Eterno ricominciare Quando, giovane pieno di riserve, ho sentito come lei parlava di Dio, sono rimasto folgorato dalla luce e dall’amore: come se dagli occhi mi fossero cadute le stesse squame che a Paolo di Tarso. Da allora sono rimasto sempre legato a lei. A quel tempo era molto forte la separazione tra il mondo operaio e il mondo intellettuale: io ero operaio e lei maestra iscritta all’università, eppu- re mi ha trattato alla pari, credendo in me, andando al di là delle apparenze. In lei ho trovato una madre che mi ha guidato passo passo nel mio cammino di conversione. Ricordo un episodio noto: essendo operaio e intendendomi di vari lavoretti, tante sere mi recavo a fare delle riparazioni al primo focolare di piazza Cappuccini a Trento, dove avevo modo di ascoltare le conversazioni di Chiara e delle sue compagne. Quel clima via via mi attirava, vi si respirava un’atmosfera altamente spirituale. Una sera dovetti fare una riparazione più lunga del solito. Ultimato il mio lavoro, fui invitato da Chiara a sedermi un po’ per riposare. E lei incominciò a parlarmi di quel Gesù in cui io credevo, ma che avevo sempre sentito molto lontano pur ritenendomi un fervente cristiano. Gesù – mi disse fra l’altro -, era sempre Gesù quando lavorava, pregava, faceva miracoli, mangiava, riposava… Se venisse oggi in questo XX secolo, penso che farebbe l’operaio come te. Fu una luce per me: da una parte mi apparve il mio fallimento come cristiano della domenica; dall’altra, che siamo chiamati ad essere un altro Gesù 24 ore su 24. Questa nuova visione mi stordì al punto che quella notte non riuscii a chiudere occhio. Più tardi, durante il servizio militare (già pensavo a lasciare tutto per seguire la stessa strada di Chiara), ricevetti da lei una lettera di cui mi è rimasta impressa solo una frase, incisa a fuoco nella mia anima: Ricordati, Marco, che la nostra vita è un eterno ricominciare . Per me ha significato credere sempre e ad ogni costo nell’amore di Dio. Come quando dovetti lasciare il Brasile per una malattia cui si era aggiunta, a causa delle medicine, una forma di esaurimento. Chiara, che allora soggiornava in Svizzera, mi chiamò accanto a sé per seguire da vicino la mia situazione di salute.Nello stato in cui mi trovavo, piangendo le confidai le mie pene, e lei mi ascoltò per due ore e mi parlò proprio come una madre.Mille volte ho sperimentato questo essere generato da lei. Se ho qualche preoccupazione per il dopo? Ricordo quello che in più occasioni ci ha detto Chiara: Quando io non ci sarò più, certo per l’Opera sarà un momento difficile, ma io seguirò dal paradiso ogni vostro passo e voi pescherete da tutto il materiale che vi ho lasciato (discorsi, registrazioni, pensieri ecc.) la sapienza per poter portare avanti il movimento. Io sono sicuro che noi avremo questa capacità. E qui mi viene da dare lode a Dio che col suo amore in questi ultimi tre anni e mezzo di malattia di Chiara ci ha prepa- rati a questo momento. Non potendole più starle vicino come prima, siamo stati costretti a guardarci in faccia tra noi e dirci: cosa farebbe, cosa direbbe lei adesso al nostro posto? Marco Tecilla L’esperienza dei dodici La prima volta in cui sentii Vale, una delle prime compagne di Chiara, comunicare l’ideale dell’unità ad un gruppo di Rovereto, ne fui così affascinato che mi venne il dubbio, io che sognavo di diventare un artista e di formarmi una bella famiglia, di lasciar perdere pennelli e fidanzata per seguire quelle ragazze di Trento che avevano lasciato tutto per Dio. Idea che si rafforzò ulteriormente quando conobbi Chiara e le altre a piazza Cappuccini. L’immagine che mi venne subito in mente, frequentando il primo focolare a Trento, fu di Gesù con i suoi discepoli. Poco dopo, con Marco e Carlo, iniziai l’avventura del primo focolare maschile in una casetta prima adibita a pollaio e deposito di legna. Una sera Chiara accettò il nostro invito a cena. Nella assoluta povertà di quegli inizi non avevamo neppure una tovaglia con cui coprire il tavolo, né ricordo cosa mangiammo (aspetto del tutto secondario), ma con la semplicità dei bambini le dicemmo cosa rappresentava per noi lei, nostra madre e guida. Si congedò con questa frase: Sapete, ho trovato qui il mio ideale incarnato. Ma aggiunse l’esempio di una statuetta d’oro di Gesù appena uscita dalla forma, ma ancora con delle sbavature del metallo. Come a dire: Ho trovato sì il mio ideale, ma bisogna lavorarlo . Perché eravamo ancora grezzi, da veri principianti. Sì, trovarsi con Chiara e colloquiare con lei era veramente fare l’esperienza di trovarsi con Gesù fra i dodici, lo stesso di duemila anni prima: anche se stavolta i dodici si chiamavano Marco, Bruna, Dori, Graziella…: un gruppo di suoi discepoli che vivevano nel XX secolo con le stesse grazie e gli stessi salti mortali che dovettero fare i primi apostoli per cambiare il mondo. E di questo noi eravamo e siamo convinti: il nostro è un ideale capace di cambiare il mondo, oggi come allora. Purché ci sia lui fra noi. Aldo Stedile Mi ha insegnato a vivere È stata una maestra. Non solo perché mi ha insegnato a studiare dandomi ripetizioni per colmare le mie insufficienze in certe materie, ma perché mi ha insegnato a vivere, a sapere come comportarmi in qualsiasi situazione. Agli inizi, ai miei genitori l’ideale che volevo seguire sembrava tutta una montatura, uno spiritualismo fuori posto. Si è fatta avanti allora una poetessa, che simpatizzava per il nascente movimento, per spiegare loro come invece si trattasse di una cosa buona. Senza grandi risultati, a dire il vero. Solo che dopo, non so perché, ho cominciato a sentirmi così a disagio, così angosciata, che sono andata subito a raccontarlo a Chiara. Vedendomi in lacrime e completamente disorientata, mi ha detto: Sai perché soffri così? Perché hai cercato la soluzione ai tuoi problemi in una persona esterna, invece che in Gesù in mezzo. Solo mettendo tutto in comune, amandoci e avendo lui fra noi riusciamo a capire come risolvere certe cose. E anche in seguito, quando mi vedeva annaspare sotto una prova fisica o spirituale, mi ripeteva lo stesso invito a fidarmi dell’unità. Ogni volta che un’ombra oscurava la mia vita, per me era spontaneo gridare con tutta l’anima: Chiara! Chiara!, come quelle bamboline che, a pigiarle sullo stomaco, dicono: Mamma!. Era insomma fortissimo l’impulso a rimettere tutto in chiaro davanti a lei, per poter vedere di nuovo Un giorno mi ha detto: Sta arrivando un certo religioso al quale dovresti parlare tu del nostro ideale. Sentendomi, inadeguata, avrei voluto dirle: Ci sono le altre focolarine che sono molto più brave di me!, ma non ho detto nulla. Vedendo la mia esitazione, per incoraggiarmi ha soggiunto: L’ideale ce l’hai dentro anche tu e perciò puoi benissimo parlargli. Sulla parola di Chiara, mi sono buttata a parlare a quella persona, che è rimasta entusiasta. E adesso che lei è partita così dolorosamente ma così dolcemente per il paradiso? Oh, me la chiamerò vicina il più spesso possibile. Sono sicura che più che mai ci aiuterà. Lei stessa del resto ce l’ha detto.

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