Ma a che serve il cristianesimo nel 2007?

Itempi del cristianesimo-sì, cristianesimo- no, sembrano già lontani, lontane le ideologie, i confronti teorici, le discussioni di un’epoca, bene o male, pensante. Oggi il trend è quello del non-pensare, ovvero del dire ciò che si pensa anche se non si pensa ciò che si dice; perché il sottinteso è che per fare tutto quello che si vuole – la creduta libertà – bastano i soldi e la tecnica; e che per avere entrambi, se non si è già nel piccolo numero dei fortunati, bisogna darsi da fare tutto il giorno, con serali risarcimenti televisivi, anche se si tratta di rifiuti tossici, e di altro divertimento quanto e quando si può. C’è tempo per cose diverse? No. A che serve la religione, a che serve più il cristianesimo? A complicare la vita, a creare altri problemi? Molti infatti oggi giurano che è meglio non avere religione, per evitare contese e guerre, intolleranze e imposizioni mentali e mirali. Ma il discorso anticristiano più pericoloso e inerziale non è questo, è quello implicito: quanto di buono il cristianesimo ha dato è più o meno penetrato nella coscienza sociale: solidarietà, generosità, cura di anziani, ammalati, bambini (Marx diceva – unica concessione al cristianesimo – che esso ci aveva insegnato ad amare i bambini), dignità della persona; il resto: fede nella risurrezione di Cristo, giudizio, inferno, paradiso, può essere tranquillamente accantonato, è un residuato storico-culturale, al massimo un’opinione personale rispettabile, ma altrettanto trascurabile. È in questo modo che convivono sensibilità per la giustizia ed egoismi radicali di ogni tipo, amore per i bambini e aborto, esaltazione dell’amore e ogni sorta di libertinaggio, tolleranza e indifferentismo: nel grande mare del relativismo nichilista. Contraddizioni fondate sulla impotente illusione che si possa dividere l’eredità cristiana in due parti, quella culturale, offerta in self-service, e quella spirituale-dottrinale, da rifiutare o minimizzare o relativizzare accuratamente. Questo grande fenomeno storico va tuttavia considerato nella complessità della sua contraddizione, che racchiude intrecciati bene e male. Il bene, che vi è anche involontariamente, si trova precisamente nel rifiuto del dottrinarismo – la dottrina è necessaria, ma il dottrinarismo è il suo cancro -, per un istinto vitale che porta credenti e non credenti a rifiutare ogni verità che rimane astratta, che non si incarna (e il cristianesimo è Incarnazione o non è). Il male, che vi è altrettanto e rovinosamente, sta nel relativizzare e minimizzare o cancellare proprio la vedi rità rivelata e incarnata, cioè nel rifiutare, ed è ben più che negare, Dio stesso. Verità concrete ma senza la verità. Insomma si vuole una società senza Dio e con la licenza di fare il più possibile i propri comodi: in nome dei diritti della carne ma contro la verità incarnata, proprio mentre si pretende che ogni verità sia incarnata e non astratta. Ma la carne senza verità è cieca, come la verità senza carne è vuota: le due contraddizioni si unificano e spiegano tutte le altre che ne derivano. La pretesa, inavvertitamente cristiana, di unire verità e carne, se rinuncia alla verità si ritorce contro il cristianesimo, è destinata, contro sé stessa, all’inevitabile astrazione di cui soffre ogni ideologia; astrazione che porta al nulla perché fa delle persone schemi e perciò cose da strumentalizzare. Per essere poi compiutamente non cristiana o post-cristiana, la società tende a diventare modernamente tirannica, cioè democratica solo formalmente, pienamente materialista e classista (di fatto anche se non di diritto), collettivista in senso mercantile. Ma queste belle caratteristiche si trovano sparse a piene mani qua e là all’Est come all’Ovest, e dimostrano solo che le derive di destra e di sinistra condividono il nichilismo che è alla loro origine. A che serve il cristianesimo? A questo punto si può cominciare ad intravederlo, credo. Nessuna tolleranza (cioè carità senza verità), nessuna compassione (cioè carità senza giustizia) possono dare senso finale alla vita. Infatti san Paolo insiste a dire, nel sublime brano sulla carità tanto citato quanto poco compreso, che si possono dare tutti i propri beni e anche il proprio corpo senza avere la carità, ma non serve a nulla. Dare tutto può non servire a nulla. Perché, se non perché la Carità è Dio stesso, come rivela la prima lettera di san Giovanni, è la realtà della creazioneincarnazione- passionemorte- risurrezione, che rende vera e piena ogni esistenza, orientata, anche inconsapevolmente, ad essa? Non basta un altruismo più o meno reale e operativo a illuminare il senso e il destino del vivere, tanto più in una società di sradicamento e avventurosa sopravvivenza, frammentaria e centrifuga, con lotte e agguati quotidiani. È vero che Dio recupererà a sé tutto il bene fatto nella storia, farà beati tutti gli uomini di buona volontà. Ma resta anche vero che si può dare tutta la propria ricchezza e anche sé stessi e non avere la carità: questa è la scandalosa verità radicale del cristianesimo. Poiché la carità che tutto spera, tutto crede, tutto sopporta e non cerca il proprio tornaconto, è Dio, c’è solo se si agisce con-come lui. Si può anche rifiutare Dio, certo, credersi autosufficienti, c’è pure questa libertà, che è la più tragica, come chi sta morendo di sete è libero di rifiutare l’acqua. Ma non è un buon affare. Da questa prospettiva, che va oltre l’essere buoni o cattivi e ricchi o poveri, si può intravedere e anche capire a che serve il cristianesimo nel 2007.

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