L’utopia condivisa

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Se si volesse utilizzare un simbolo per definire il Forum sociale mondiale (Fsm), il più indicato sarebbe senz’altro quello della marcia: iniziato, infatti, con una camminata di quattro ore per le vie di Belem, è continuato i giorni seguenti col via vai ininterrotto dei più di 100 mila partecipanti, che si spostavano di continuo tra i duemila punti di incontro e dibattito sparsi nei campus delle due università. Alla ricerca di un mondo migliore (Un altro mondo è possibile era il titolo dell’evento), dopo l’evidente fallimento di tanti aspetti del vecchio sistema, testimoniato dalla crisi economica planetaria. Un’estrema varietà di gruppi partecipanti ha caratterizzato il Forum: erano circa duemila e di vario orientamento, dall’ecologia all’economia solidale, dal ritorno all’ideologia marxista alla spiritualità, dalle culture indigene ai gruppi per libertà sessuale, aborto, diritti degli omosessuali. Ed è solo un piccolo saggio dell’orizzonte variopinto del Forum, così composito da legittimare l’impressione negativa che tanti hanno denunciato: un ambiente dispersivo in cui si sarebbe parlato di tutto e del contrario di tutto. Non penso tuttavia che si debba essere così radicalmente negativi. Idealismo, speranze e sogni si sono alternati, trovando terreno fertile in molti dei partecipanti, la maggior parte giovani; ma con la contropartita di essere suggestionati da letture della storia e della realtà di chiara marca marxista, in conflitto perenne con la visione del capitalismo neoliberale. Ciò ha trovato conferma nella lettura delle conclusioni dei gruppi tematici nell’assemblea finale. Le conclusioni hanno così lasciato l’impressione di essere state manipolate da una minoranza ideologizzata che non si sarebbe attenuta a ciò che era avvenuto nei fatti e alle riflessioni molteplici e non monolitiche circolate durante gli incontri. Tutto vero, e bisognerebbe riflettere sulla deriva registrata a Belem. Ma nonostante tutto ciò, vedere più di 100 mila persone riunite attorno a grandi ideali di dimensioni profondamente umane e sociali non poteva che far del bene. Il Forum si è svolto a Belem, in Amazzonia. A questa regione sono state dedicate riflessioni e proposte. I duemila indios presenti hanno impresso una forte impronta con la rivendicazione dei loro sacrosanti diritti (terra, cultura, religione, organizzazione) e nell’offerta dei loro valori culturali come alternativa alla società dell’uomo bianco. Davanti alla tragica realtà del saccheggio delle risorse naturali, gli indios hanno affermato a ragione che i loro luoghi sono gli unici in cui essa è difesa e preservata. Troppe volte questi stessi indios vengono considerati criminali dai governi, dalla polizia e dal potere giudiziario; vengono imprigionati quando difendono la loro terra, quella terra che preservano dalla voracità di una società puramente mercantilista, mentre per loro è Madre Terra. Il Forum, per sua natura, non è una riunione che giunge a conclusioni unitarie raccolte in un documento finale. Offre piste di riflessione e azione. Un fenomeno che comunque non può essere ignorato, per disinteresse o per preconcetto ideologico e politico. Diceva mons. Helder Camara: Non bisogna mai aver paura dell’utopia. Mi piace molto ripetere: quando sogniamo soli, non è che un sogno; quando si sogna insieme, è già la realtà. L’utopia condivisa è il fondamento della storia.

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