Lo strappo ricucito

La lunga marcia dalla breccia di Porta Pia agli applausi per Giovanni Paolo II nell’emiciclo di Montecitorio è durata 132 anni. Sulla scena romana sono passati dieci papi e ancor più capi di stato, per non parlare di quanti governi si sono succeduti nei palazzi della nuova capitale d’Italia. Poco più di un battito di ciglia per la Città eterna. Troppi anni perché una sola generazione ne contenesse l’intero arco e ne valutasse l’evolversi. Ci sono voluti tutti per stemperare quell’impatto violento fra stato e chiesa che fu l’annessione di Roma e che segnò la fine del potere temporale dei papi. Dopo un lungo irrigidimento sui due fronti, che aveva visto il pontefice romano prigioniero volontario nei palazzi vaticani pronunciare il non expedit, cioè il divieto ai cattolici a partecipare alla vita pubblica del nuovo stato, e il re consegnare la guida dei governi alla massoneria, il contrasto prese ad ammorbidirsi, lasciando spazio ad una lentissima ricucitura dei rapporti, fino alla loro definizione nei Patti Lateranensi. Ma c’era voluto un dittatore che aveva contemporaneamente azzerato politicamente massoni e cattolici, per imporre la sua “pace” fra le due rive del Tevere.Vicende tutte che abbiamo vissuto nello spaccato di vita delle ultime generazioni sulla pelle delle nostre stesse famiglie. Nella mia ho sempre sentito raccontare di uno dei miei nonni, di cui ricordo conservate su una parete armi ed effige, che era entrato fieramente da conquistatore in Roma con i lancieri d’Aosta attraverso la breccia di Porta Pia appena aperta dai cannoni. Si guadagnò in quei giorni una medaglia, ma non poté mai fare vanto in pubblico dal suo valore perché la moglie, donna piissima e di lui ancor più “valorosa”, non gli permise di fregiarsi di quella “medaglia del diavolo”. Mai. Venne così applicato con rigore il non expedit da una famiglia che pure aveva vissuto con passione e coraggio gli anni del Risorgimento. Né ciò avrebbe impedito più tardi ai cinque figli maschi di combattere con valore sull’Isonzo e sul Piave riportandone pure loro diverse decorazioni. Ma che esistesse una ferita che divideva l’Italia – quella in cui si credeva – da Roma – nei cui governanti si credeva meno – era un fatto da me percepito chiaramente fin da bambino, anche se nessuno ne parlava. Ricordare queste cose, oggi, può fare sorridere. Altri steccati hanno diviso il paese, mentre il Tevere si andava allargando o stringendo a seconda dei governi e delle amministrazioni che siedevano a Montecitorio e in Campidoglio. Senza sottovalutare gli umori di chi fosse segretario di stato in Vaticano. Certo, dopo i Patti Lateranensi, fra le due sponde vennero scambiate molte cordialità. Almeno formalmente. Eppure si sono dovuti attendere i primi anni del nuovo millennio perché a un papa, un non italiano dopo tanti secoli, fosse riconosciuta prima la cittadinanza onoraria della capitale e, infine, fossero dischiuse le porte di Montecitorio. C’erano già state, è vero, diverse visite ricambiate al Quirinale e al Vaticano fra papi e capi di stato, come pure udienze a capi di governo, ma questi avvenimenti potevano ancora essere visti nel quadro di normali rapporti diplomatici. Questa volta si è trattato d’altro. Abbiamo seguito in diretta la visita del papa alle due camere riunite a Montecitorio e ascoltato il suo discorso. Ne abbiamo riportato un’impressione forte. Innanzitutto, per la qualità di quell’incontro. Mai ci si sarebbe aspettato un coro di applausi così intenso e lungo da tutto l’emiciclo. Per ventisei volte. Mai discorsi di accoglienza di così alto profilo intellettuale e spirituale da parte dei due presidenti di Camera e Senato. E il papa, sicuro nella voce e determinato nell’elencazione non breve, eppure chiara e coerente dei temi nodali della realtà italiana di oggi, ha potuto svolgere una grande lezione del magistero della chiesa. Quali le sfide con cui debbono confrontarsi gli italiani? Il relativismo etico, la denatalità e il conseguente invecchiamento della popolazione, le difficoltà nel provvedere all’educazione dei figli, l’esigenza di una maggiore sicurezza, la precarietà del lavoro, le tensioni etniche e religiose. Argomenti in parte controversi, ascoltati con grande rispetto e attenzione. Ad essi abbiamo dedicato gli approfondimenti delle pagine che seguono, aggiungendo al nostro il commento di alcuni parlamentari. Di questa giornata, certamente si parlerà a lungo. I colori pontifici, che in quelle ore hanno garrito festosi dal balcone di Montecitorio accanto al tricolore nazionale e all’azzurro drappo stellato dell’Unione europea, hanno simboleggiato, forse meglio di ogni altra immagine, la completa ricucitura di quello strappo antico fra le due sponde del Tevere. E insieme espresso un auspicio perché la convergenza riscontrata accresca la possibilità di incidere sulle nuove frontiere che, pur distintamente, vedono la chiesa e lo stato italiano impegnati in favore dell’uomo.

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