L’indomito Veneto

Terra ferita, ma la vita è ripresa. Merito di intraprendenza e generosità. Manca la prevenzione.
Alluvione in veneto

«Ogni volta che piove, i bambini incominciano a piangere», fa presente Marcella Zazzaron, mentre accarezza i capelli biondi di Sara, tre anni e mezzo, la più piccola dei tre figli. Anche adesso fa le bizze in braccio alla mamma: non è però questione di maltempo, ma solo del cronista che, dialogando con la madre, la sta privando di una razione di coccole.

«È stata dura – racconta la giovane signora –, perché siamo stati quasi tre giorni isolati, raccolti al piano superiore dell’abitazione, vivendo con le scorte alimentari che avevamo in casa». L’abitazione è situata in campagna tra Caldogno e Cresole, una delle zone del Vicentino più colpite dalle esondazioni del fiume Bacchiglione. Qui, il corso d’acqua disegna una grande ansa e la piena ha rotto gli argini in due punti, in quel 1° novembre.

«La casa è stata colpita da due lati e l’acqua è arrivata con una forza e con un rumore che ci ha spaventati. La costante irruenza delle correnti ha impedito ai mezzi nautici dei pompieri di raggiungerci in fretta».

Con il marito Igor, la signora Marcella gestisce un vivaio. Non è rimasto granché di serre e piante, ma, indomiti, non si sono fermati. I dipendenti, insieme con i rispettivi familiari, sono corsi a dare una mano, trovando tante persone già in azione. Dopo pochi giorni tutto era a posto.

Il livello del fiume è adesso tornato ai livelli di sicurezza, ma corre ancora troppo velocemente. Le parti di argine cedute sono state risistemate con lastre di metallo larghe un metro e alte nove, conficcate per due terzi dentro il terreno.

 

500 mila persone coinvolte

 

Quella degli Zazzaron è una vicenda comune a quella dei veneti colpiti dalle alluvioni in seguito alle eccezionali piogge (50 centimetri) di inizio novembre. Sono stati interessati 121 comuni e coinvolte 500 mila persone; 3 mila quelle sfollate e almeno 950 milioni di euro i danni subiti. Gente laboriosa, quella veneta, che si è data subito da fare. Non solo quella colpita. Anche chi è stato risparmiato dalle acque s’è messo immediatamente a disposizione. All’appello del comune di Vicenza hanno risposto in 1.700, tra cui tantissimi giovani e immigrati.

Televisioni e quotidiani nazionali si sono invece accorti della grave situazione solo quando Napolitano e Berlusconi hanno annunciato la loro visita in Veneto. Ma era già tardi, per certi versi: i veneti avevano già ripulito strade e negozi, portato via fango, detriti e tonnellate di materiale fradicio d’acqua. Di miracoli parla la gente stessa. Lo dice senza enfasi, ma con gratitudine e un pelo di legittimo orgoglio.

 

Chi di miracoli s’intende è don Giovanni Sandonà, direttore della Caritas diocesana di Vicenza. La sede è situata in Contrada Torretti in una zona alluvionabile, e così è andata. Il Bacchiglione ha lasciato i segni del suo passaggio in strada a 170 centimetri di altezza. Negli uffici Caritas ha toccato il mezzo metro. «Ho assistito ad un miracolo – conferma con tono sobrio don Sandonà –, perché in 48 ore, con 80 volontari (molti immigrati), tutto è stato smontato, lavato, asciugato, riparato e rimontato».

Solo i sacchi di sabbia posti all’ingresso di negozi e uffici ricordano che è successo qualcosa di grave (e potrebbe ripetersi), altrimenti quasi tutto è già tornato in funzione.

La pasticceria Bolzani, oltre cento anni di attività, aveva rinnovato i locali di piazza XX Settembre nello scorso luglio. Proprio accanto al Ponte degli Angeli, dove scorre il fiume esondato. Immaginatevi la gioia dei titolari nel trovare un metro d’acqua nell’elegante negozio e nel retrostante laboratorio pieno di scorte. «La generosità dei dipendenti e di tanti amici mi ha fatto vedere cosa è possibile fare – racconta Piera Bolzani –. Abbiamo risistemato tutto in una settimana, compreso la sostituzione dei motori dei frigoriferi. I danni ammontano a 150 mila euro, ma confidiamo di farcela».

 

Capaci di ricominciare subito

 

«Vogliamo ricominciare. Grazie». La scritta campeggia sulla vetrata del primo piano di un negozio di arredamenti a Bovolenta, nel Padovano. È uno dei punti più bassi della zona, particolarmente inondato dal vicino Bacchiglione. «Qui l’acqua è salita sino a 170 centimetri ed è rimasta per sei giorni», racconta il titolare, che ha perso cucine, letti e armadi esposti a piano terra. Ma non impreca contro nessuno. Anzi, rilanciando una voce diffusa secondo cui la falla nell’argine è stata provocata, giustifica: «Meglio inondare una zona con 500 famiglie che un’altra dove ce ne sono 5 mila».

Molti meno danni a Casalserugo, sette chilometri più in là, dove l’acqua ha invaso l’area produttiva. Giancarlo Nequinio è uno dei due titolari della Nuova Grafotecnica: «Siamo andati sotto di 30 centimetri alle sette di sera del 2 novembre. Abbiamo salvato carta e lavori già pronti per la consegna, ma non potevamo certo muovere le macchine tipografiche». Sono rimasti fermi due settimane. «Con il socio ci siamo detti: “San Francesco direbbe che qui è perfetta letizia”, ma non siamo riusciti a gioire. Poi ho scritto in agenda: “Sei tu, Signore, l’unico mio bene” e da allora ho trovato la pace».

 

Doni natalizi anticipati

 

Il 16 novembre sono caduti in ampie zone del Veneto 15 centimetri di pioggia. È stata di nuovo allerta per tutti. La paura per il maltempo s’è riproposta con tremenda rapidità. E ogni volta che la pioggia si fa battente, si accende un sensore psicologico. C’è il rischio di un logoramento per gli abitanti delle zone già colpite. E il periodo delle piogge e del freddo è solo all’inizio.

Se il cielo non rassicura, il governatore Zaia offre qualche certezza: ha disposto che a metà gennaio verranno distribuiti i 300 milioni stanziati. La Caritas di Vicenza, con le offerte raccolte, è già passata ai fatti, distribuendo il 7 dicembre 500 mila euro a favore delle 100 famiglie più colpite segnalate dalle parrocchie.

L’albero natalizio, in casa Zazzaron, è stato allestito in netto anticipo e troneggia nella sala da pranzo. È un segno rassicurante, in questo momento, per i tre figli. «Sarà un Natale vissuto con la speranza che le cose si mettano a posto – cerca di prevedere la signora Marcella –. Ma intanto la speranza viene dal fatto che tante persone continuano ad interessarsi di noi». Non si tratta solo di buoni sentimenti: i loro clienti non hanno chiesto deroghe ai pagamenti e i fornitori del vivaio hanno proposto: «Prendete il materiale che occorre, pagherete a primavera».

A Veggiano sono arrivati in dono quantitativi industriali di materiale per le pulizie dai grandi supermercati, mentre alcune imprese edili hanno messo a disposizione gratuitamente appartamenti per una parte delle 50 famiglie private dell’alloggio.

Alla tipografia Nuova Grafotecnica, un’importante azienda farmaceutica, già cliente, ha garantito lavori per i prossimi cinque anni. Altre aziende del padovano hanno offerto commesse. E non verrà certamente meno l’ordinativo della Parola di Vita, che qui si stampa da 29 anni per Veneto, Trentino e Friuli. Al titolare Giancarlo Nequinio sono arrivate altre manifestazioni d’altruismo: c’è chi ha tirato fuori il libretto degli assegni, chiedendo quanto servisse.

Questo è il Veneto che i distratti mass media nazionali non hanno colto. E rischiano di non accorgersi che nelle zone alluvionate le luci del Natale brilleranno, quest’anno, con un’intensità particolare. Qualcosa di solidale è successo.

 

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Sindaci: Dall’emergenza alla precarietà

 

I sindaci “alluvionati” sono nel vortice degli impegni e delle responsabilità. Affrontata l’emergenza della piena, da poco si trovano nella fase della precarietà. «Il “dopo” è ancora più difficile del “durante” – sostiene Anna Lazzarin, farmacista, da tre anni sindaco di Veggiano, Padova –. Nulla è come prima e ci vorranno mesi per rimediare a tutto, anche dal punto di vista psicologico per tanti».

Qui l’alluvione era stata annunciata già nel 1996. Una perizia indicava la fragilità di una parte dell’argine del Tèsina. Con la piena del Bacchiglione, l’affluente sarebbe ingrossato sino a far cedere una sponda. Previsione avveratasi. Conseguenze: un terzo di territorio comunale sott’acqua (da un metro a tre), 880 persone sfollate su 4.600.

«Le istituzioni sovracomunali si sono rivelate decisamente fragili. E lo dico anche se sono governate dalla mia stessa parte politica. Qui di meraviglioso c’è la gente. Sono arrivati 200 volontari senza alcun preavviso. Parrocchia e patronato facevano baruffe, adesso collaborano. Perché è successo? Negli ultimi tre anni ho visto venire ad abitare 1.500 persone: sviluppo abnorme, con abitazioni sotto il livello del fiume».

L’ordinanza a firma di Berlusconi del 13 novembre stanzia 300 milioni per il Veneto alluvionato. Priorità per famiglie e aziende. Tutti sanno che non sono sufficienti, ma sperano che arrivino presto.

Chi non ha speranza di beneficiare di alcunché è Armando Cunegato, primo cittadino di Valli del Pasubio, sopra cui domina l’omonimo gruppo che arriva a 2.239 metri. Dalle piogge sul Pasubio nasce il fiume che ha provocato gli allagamenti. «Per questo, i sindaci delle zone colpite dicono che è tutta colpa mia – dice scherzando –. La cosa vera invece è che l’ordinanza del presidente del Consiglio non prevede risorse per la montagna. È davvero dimenticata. Eppure si sa che la natura non curata produce gravi inconvenienti».

A Valli del Pasubio le piogge hanno causato quasi ottanta frane sulle strade. «Per ripristinare in sicurezza la viabilità mi servirebbero 10 milioni – precisa il sindaco –, ma non ho i soldi. Per cui, se dovessi applicare i regolamenti, dovrei isolare diverse contrade dove vivono tanti abitanti già in difficoltà. Il comune allora fornisce il materiale e la buona volontà dei cittadini sta facendo il resto».

 

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Inondazione annunciata da tempo

 

«È stata un’inondazione annunciata, perché Vicenza è a rischio da dieci anni», premette Giuseppe Pellegrini, docente di metodologia e tecnica della ricerca sociale alla facoltà di Scienze politiche del capoluogo veneto, che ha condotto studi sull’ambiente e sulle politiche del territorio.

 

Colpevole assenza delle amministrazioni?

«La politica, lo sappiamo, si occupa più delle emergenze che della prevenzione. L’emergenza garantisce visibilità mediatica, la prevenzione costringe a lavorare sull’invisibile. Inoltre, fare prevenzione vuol dire fare politiche impopolari, scomode, perché implica espropri, costringe a lottare contro interessi particolari. Per di più, se si favoriscono le costruzioni, ci sono benefici per le casse dell’amministrazione che ricevono sempre meno fondi dallo Stato».

 

Perché in tante aree del Veneto è stato costruito con un’altissima densità?

«Abbiamo assistito negli ultimi quindici anni ad un’urbanistica forsennata, con una sequenza ininterrotta di case e capannoni industriali, che ha prodotto la cosiddetta “campagna urbanizzata”. Il comune di Thiene, ad esempio, non ha più terreno su cui costruire».

 

Gli effetti?

«È stato compromesso l’assetto idrogeologico, con pesanti conseguenze sulla viabilità e sulla mobilità. Lunghe file in troppe zone. E poi è stato consentito di costruire dovunque, senza tenere conto dei vincoli ambientali, che spesso non sono sanciti dalla legge ma dalla configurazione del territorio. A Cresole, una delle zone alluvionate, negli ultimi dieci anni è stato fatto costruire in prossimità dell’argine del fiume. Una politica poco previdente: le case sono sotto il livello del fiume».

 

Come fare tesoro dell’accaduto?

«Dove sono stati dragati i fiumi, dove è stata fatta opera di pulizia e di custodia degli argini (senza gli alberi l’acqua corre), la piena non ha creato problemi».

 

Quali proposte avanzare?

«Chiedere alla politica di essere un po’ lungimirante e mettere l’ambiente in agenda; maturare la consapevolezza che prevenire serve e costa meno rispetto all’emergenza; compiere doverose scelte locali e personali in base ai cambiamenti climatici in atto, di cui spesso non riusciamo a cogliere gli effetti locali. Inoltre, occorre recuperare la pianificazione territoriale, riflettere sugli aspetti urbanistici, su come si progettano le abitazioni, anche se questo cozza contro gli interessi forti. Insomma, nel nostro Veneto c’è da mettere in discussione il modello attuale di sviluppo. Infine, non va dimenticata la montagna. Un tempo si pulivano i boschi e si canalizzavano le acque. La pianura si salva a partire dalla montagna».

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